Open, ordinanza gip su Renzi contro pm Firenze: “Chat ed e-mail non sono corrispondenza”

(Adnkronos) – “Gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere in giudizio l’accusa”. E’ quanto scrive il giudice del Tribunale di Genova Claudio Siclari che ha archiviato le accuse ipotizzate nei confronti dei magistrati fiorentini che si sono occupati del caso Open respingendo l’istanza di opposizione presentata da Matteo Renzi. Il gip nell’ordinanza con cui ha fatto cadere le accuse di abuso d’ufficio nei confronti del procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, dell’aggiunto Luca Turco e del sostituto Antonino Nastasi ha sottolineato che “per quanto concerne l’acquisizione dello scambio di corrispondenza (chat) via Whatsapp del giugno 2018, tra il sen. Renzi e il dott. Vincenzo Manes; lo scambio di corrispondenza (chat) via Whatsapp, intercorsa tra il 2017 e il 2019, tra il sen. Renzi e il dott. Marco Carrai; lo scambio di corrispondenza via e-mail dell’agosto 2019 tra il sen. Renzi e il dott. Marco Carrai, non si tratta evidentemente di sequestro di corrispondenza effettuato direttamente nei confronti del sen. Renzi”. 

Nel caso concreto, motiva il gip, “non si tratta nemmeno di comunicazioni e di corrispondenza, e comunque esse sono state captate in maniera indiretta, in quanto in primo luogo sono state acquisite presso persone che non rivestivano la qualità di parlamentare, e pertanto non era necessaria l’autorizzazione del Senato; in secondo luogo – si legge nel provvedimento – in realtà si è trattato di perquisizioni, e non di attività di intercettazione; e comunque per esse l’autorizzazione preventiva di cui all’art. 4 L . 140/2003 non doveva essere richiesta; in effetti, allorché un parlamentare figuri tra gli indagati, non deve essere richiesta la preventiva autorizzazione, chiunque sia la persona da intercettare, neppure se vi è elevata probabilità che le intercettazioni disposte, finiscano per captare le comunicazioni del parlamentare, in quanto la mera circostanza che anche uno solo fra gli indagati rivesta la qualità di deputato e senatore, paralizzerebbe il mezzo di ricerca della prova nei confronti di tutti” 

Va escluso poi “che si trattasse di ‘acquisizioni cosiddette mirate’ di corrispondenza di parlamentari, posto che nel caso concreto la perquisizione a carico di Manes è stata effettuata nell’anno 2019, epoca in cui Renzi non era ancora stato iscritto nel registro delle persone sottoposte ad indagini; mentre la qualità di ‘direttore di fatto’ della Fondazione Open, è stata attribuita a Renzi dai pm di Firenze, soltanto all’esito delle indagini preliminari, come risulta dalla informativa di pg del luglio 2021”, scrive il giudice accogliendo la richiesta di archiviazione avanzata dal pm.  

“In ogni caso va rilevato che la giurisprudenza ha chiarito che i messaggi di posta elettronica memorizzati nelle cartelle dell’account o nel computer del mittente ovvero del destinatario, costituiscono meri documenti informatici, intesi in senso statico, dunque acquisibili ai sensi dell’art. 234 c.p.p. Trattandosi di documenti, per la loro acquisizione non era quindi necessaria la preventiva autorizzazione del Senato, richiesta soltanto per il sequestro di corrispondenza, ovvero per sottoporre il membro del Parlamento ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”, si spiega nel provvedimento.  

E “con riferimento all’acquisizione dell’estratto-conto bancario relativo al periodo 2018- 2020, risulta che la Guardia di Finanza, su delega 11.1.2021, dei pm di Firenze, ha acquisito documenti relativi agli anni 2017 e 2020, estratti dal Sistema Informativo Valutario (S.I.Va.); non si tratta quindi di una perquisizione o di un sequestro, bensì di acquisizione di documentazione, esistente presso l’istituto bancario, ovvero di dati estratti dalla memoria informatica dello stesso”, si spiega. Per il giudice dunque “deve essere disposta l’archiviazione del procedimento penale, non essendo gli atti di indagini idonei a sostenere l’accusa in giudizio, proprio perché l’elemento materiale del delitto di abuso d’ufficio richiede che l’agente violi specifiche regole di condotta, espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, e dalle quali non residuino margini di discrezionalità; margini che al contrario nel caso concreto residuerebbero”. 

 

(Adnkronos)