(Adnkronos) – Il diabete è uno dei principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. Ma il percorso di malattia che porta all’infarto non è lo stesso per tutte le persone con diabete di tipo 2. A individuare due diversi gruppi di pazienti con diabete di tipo 2, che sviluppano negli anni due diverse tipologie di cardiopatia ischemica, sono stati Rocco Antonio Montone, dirigente medico presso la Uoc Terapia intensiva cardiologica della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e dottore di ricerca in cardiologia al’l’Università Cattolica, e Dario Pitocco, direttore Uo di Diabetologia della Fondazione e professore associato di Endocrinologia della Cattolica.
A fare la differenza – riferisce una nota del Gemelli – è la presenza o meno di complicanze microvascolari. Parametro che potrebbe consentire di stratificare la popolazione diabetica prima della comparsa di un infarto, e dunque guidare il medico alla migliore terapia preventiva, in maniera personalizzata. È la prima volta che vengono distinte queste due grandi popolazioni di persone con diabete di tipo 2, che sviluppano due diverse tipologie di aterosclerosi: una più diffusa e con caratteristiche di stabilità, l’altra più ‘acuta’. La ricerca è stata appena pubblicata su Cardiovascular Diabetology.
“Analizzando i risultati della coronarografia, integrati con studio Oct (Optical coherence tomography) – afferma Montone – abbiamo evidenziato nella popolazione diabetica due diverse tipologie di pazienti: quelli che hanno un’unica grossa placca aterosclerotica ‘soft’, cioè ricca di lipidi e dunque pronta alla rottura (alla base degli infarti più gravi nela fascia di età 50-60 anni) e quelli che hanno estese calcificazioni e tante piccole placche ‘guarite’, diffuse su tutto l’albero coronarico, che danno sintomi cronici di tipo anginoso, piuttosto che un grave infarto acuto”.
“I pazienti del primo gruppo – spiega Pitocco – sono in genere più giovani, obesi, dislipidemici e con un diabete caratterizzato soprattutto dalla resistenza insulinica, più che dalla carenza. Nell’altro gruppo troviamo pazienti in genere più anziani, magri, con un pancreas che ha esaurito la sua funzione e che necessitano di terapia insulinica. Analizzando la presenza o meno di complicanze microvascolari, abbiamo evidenziato la presenza di una correlazione tra complicanze microvascolari diabetiche e tipologia di aterosclerosi ed eventi cardiovascolari al follow up”.
Lo studio ha coinvolto 320 pazienti diabetici (età media 70 anni) con cardiopatia ischemica, al loro primo evento coronarico e sottoposti a coronarografia; in un sottogruppo di pazienti è stato utilizzato anche l’Oct, un microscopio che consente di vedere ‘da dentro’ i dettagli della parete coronarica. I pazienti sono stati suddivisi in gruppi diversi a seconda della presenza o meno di complicanze microvascolari (retinopatia, nefropatia e neuropatia diabetiche). Tutti sono stati seguiti nel tempo per registrare la comparsa di ulteriori eventi cardiovascolari maggiori (Mace).
I pazienti con complicanze microvascolari diabetiche – ancora la nota – tendono a presentare una cardiopatia ischemica caratterizzata da tante calcificazioni e dalle cosiddette placche ‘guarite’ (una sorta di ‘cicatrice’ che è indice di un infarto che stava per verificarsi, ma non è mai avvenuto). Al contrario, i soggetti senza complicanze microvascolari tendono a presentare una cardiopatia ischemica caratterizzata da grandi placche aterosclerotiche lipidiche. Al follow-up, il gruppo di pazienti con microcalficazioni ha presentato un maggior numero di Mace, configurando in questo modo una popolazione con cardiopatia ischemica più suscettibile a ospedalizzazioni ripetute.
“All’interno del gruppo delle persone con diabete di tipo 2 – sottolinea Pitocco – si distinguono due grandi gruppi di pazienti: quelli con resistenza all’insulina e quelli con carenza insulinica. Anche dal punto di vista delle complicanze vascolari, si distinguono i pazienti che sviluppano complicanze microvascolari, cioè a carico dei piccoli vasi arteriosi (retinopatia che può portare a gravi danni alla vista, nefropatia che può portare all’insufficienza renale, neuropatia diabetica che può favorire le lesioni del piede, neuropatia autonomica) e altri che non presentano questo tipo di complicanze. Entrambi i gruppi possono presentare complicanze a livello coronarico, ma con meccanismi diversi, a cominciare dalla composizione della placca aterosclerotica”.
“La calcificazione – prosegue Pitocco – è un processo caratteristico anche della neuropatia periferica diabetica; e con il nostro studio abbiamo evidenziato che, a livello coronarico, i pazienti con complicanze microangiopatiche presentano una composizione di placca diversa rispetto ai diabetici senza complicanze microangiopatiche. Forse la presenza di calcificazioni è legata alla microangiopatia e all’insulina, cioè alla capacità fibrosante dell’insulina (le cellule muscolari lisce dei vasi si trasformano in cellule osteoblastic-like, in grado di depositare calcio sulle pareti dei vasi). Questi stessi pazienti dal punto di vista del loro fenotipo metabolico hanno una carenza di secrezione insulinica e necessitano dunque di una terapia a base di insulina”.
“La medicina personalizzata – conclude Filippo Crea, direttore del Dipartimento di scienze cardiovascolari e pneumologiche, Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e professore ordinario di Cardiologia all’Università Cattolica – è l’obiettivo finale verso cui tende la medicina moderna. Questa è già realtà clinica per le malattie caratterizzate da una singola alterazione genetica. Per le malattie complesse, come la cardiopatia ischemica e il diabete, causate dall’interazione fra alterazioni poligeniche e fattori ambientali di rischio, un primo approccio intermedio è la medicina personalizzata. Questo vuol dire che i pazienti che presentano la stessa manifestazione clinica, per esempio il diabete o la cardiopatia ischemica, vengono suddivisi in gruppi omogenei che hanno un simile meccanismo di malattia. Lo studio pubblicato da Montone e Pitocco dimostra chiaramente che fra i pazienti che presentano diabete e cardiopatia ischemica è possibile identificare due sottogruppi con diversi meccanismi di malattia che richiedono diverse terapie: questa è la medicina stratificata”.