(Adnkronos) –
Bezos, l’editoria e le sinergie. Di Jeff Bezos, proprietario, ideatore e guru di Amazon (nonché oggi uno dei tre uomini più ricchi al mondo) tutto si può dire meno che manchi di idee innovative. Quando nel 2014 acquistò lo storico Washington Post molti scrissero che era solo una foglia di fico per nascondere agli occhi del ‘politically correct’ lo strangolamento in atto da parte del mondo della Rete all’editoria tradizionale. Gli eventi successivi hanno invece dimostrato che quell’acquisto apriva il terreno a nuove sinergie tra la stampa tradizionale e quella digitale. Bezos infatti mise subito a disposizione di altre testate tradizionali la licenza dell’innovativo software creato per gestire il proprio sito; ha poi elaborato una serie di app che facilitano la lettura come quella che aiuta a leggere un testo facendo apparire sullo schermo parole luminose una alla volta. L’utente può suggerire la velocità di apparizione che preferisce e leggere quindi più o meno velocemente; in questo modo anche testi molto lunghi possono essere letti su schermi molto piccoli (come quelli degli smartphone). Successivamente il Post ha lanciato una guida (in realtà una sorta di manuale) per identificare e comprendere i video manipolati (‘The Fact checker’s Guide To Manipulated Video’) una delle tematiche più vive in questo momento sulla Rete. E ciò perché la tecnologia applicabile sul Web è già ora in grado di creare falsi che sembrano assolutamente verosimili se non addirittura veri. Gli esempi non mancano: nel lato oscuro della Rete ci sono soggetti in grado di utilizzare algoritmi di apprendimento automatico e software open source per creare facilmente, ad esempio, video pornografici che sovrappongono realisticamente volti di celebrità – o di chiunque altro – sui corpi degli attori professionisti o creare realistici video manipolati per far dire a chiunque qualunque cosa. Insomma, per sopravvivere, l’editoria tradizionale doveva e deve percorrere – ci fa capire Bezos – la strada della ‘cross fertilization’ (sinergie incrociate) con quella digitale. E il processo si è rivelato, nel tempo, costruttivo tant’è che in questi ultimi tempi per le grandi testate tradizionali si parla di strategia del ‘digital first’ che consiste nel puntare sugli abbonamenti, principalmente quelli digitali, piuttosto che sulla pubblicità (ormai in crollo verticale per il settore dell’editoria tradizionale a favore dei giganti dell’high tech). Caso emblematico è quello del New York Times che ha annunciato di aver raggiunto oltre un milione di abbonamenti digitali (portando la cifra complessiva dei propri abbonati a 5 milioni) per un ricavo di 800 milioni di dollari rivenienti solo dal digitale. Questa tendenza è forte anche in Europa; anche se, secondo i dati più recenti, tra le principali testate al mondo per sottoscrizioni digitali le prime tre sono americane (appunto il New York Times, il Wall Street Journal e il Washington Post) poi quattro inglesi (Financial Times, Guardian, Economist, Sunday Times) una giapponese (Nikkei) e una svedese (Aftonbladet). Insomma, nonostante le tante Cassandre e i tanti articoli, saggi, libri catastrofisti, internet non ucciderà la carta stampata; anzi. Certamente ne ha cambiato totalmente il business anche in termini qualitativi oltre che quantitativi (si vendono meno copie ma quelle vendute vengono lette di più) e questo non è certo un male.
Musica. Una buona notizia e una speranza per gli amanti di un certo tipo di musica (che tanto hanno sofferto questa settimana): il grande James Taylor è di nuovo in tour, inizia in prossimo 25 febbraio in Florida e fino all’estate sarà negli Usa ma è molto probabile che in autunno sarà di nuovo in Europa e anche in Italia. In attesa, il consiglio è quello di risentire (più volte) la sua ultima produzione ‘American Standard’ del 2020, di recente rimasterizzata; un ennesimo piccolo, grande capolavoro. (di Mauro Masi)