(Adnkronos) – L’Ucraina si avvia a diventare una sorta di Sparta dell’Europa Orientale, con una difesa “forte in terra, nel cielo e nel mare”, che darà “stabilità” alla regione e farà “deterrenza contro ogni minaccia”, nelle parole del presidente degli Usa Joe Biden. Se l’adesione alla Nato resta in sospeso, ancorata a determinate “condizioni” e all’unanimità degli Alleati, il Paese in guerra contro l’invasore russo si avvia ad ottenere dai Paesi del G7, e dagli Usa in primis, garanzie di sicurezza precise, previste dalla legge, sul modello di quelle che legano da decenni Washington ad Israele. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha parlato di garanzie “specifiche” e ha rivendicato un buon successo per la delegazione ucraina al summit Nato di Vilnius, dopo la delusione esternata via social nel primo giorno del vertice per le “condizioni” annesse all’adesione all’Alleanza.
Lo Stato ebraico, qualificato come ‘Major Non-Nato Ally’ dalla legge americana, dalla sua fondazione, nel 1948, ha ottenuto da Washington oltre 125 miliardi di dollari, che l’hanno aiutato a creare un esercito, Tzahal, con pochi uguali al mondo per efficienza e letalità, in grado di difendere il Paese in un contesto di sicurezza complesso. Tel Aviv è diventata anche un esportatore leader nel campo della difesa e, grazie alle ricadute civili della spesa militare, è anche primatista assoluta nelle nuove tecnologie, con un’industria hi-tech che è un pilastro dell’economia nazionale.
Israele è il principale beneficiario a livello globale dell’assistenza di sicurezza degli Usa Title 22, tramite il programma per i finanziamenti militari all’estero, tradotto attualmente in un memorandum d’intesa decennale (2019-2028), in base al quale gli Usa forniscono a Israele 3,3 miliardi di dollari ogni anno come assistenza di sicurezza e 500 milioni di dollari, sempre annui, per i programmi di difesa missilistica.
I dettagli delle garanzie di sicurezza che otterrà Kiev dai singoli Paesi del G7, e dagli altri Stati che vorranno fornirle, andranno negoziati bilateralmente, ma Zelensky è apparso soddisfatto del risultato ottenuto al vertice, dopo che nel primo giorno aveva arringato la folla in piazza a Vilnius, e twittato in inglese, per esternare la propria delusione per le “condizioni” poste dagli Alleati all’adesione dell’Ucraina alla Nato.
Le garanzie, ha detto Zelensky, non sono alternative all’adesione alla Nato, ma vengono fornite “durante il percorso verso l’adesione” all’Alleanza atlantica. Il presidente Biden, prima di lasciare Vilnius, ha detto che Kiev non entrerà nella Nato “penso finché la guerra non sarà finita”. In caso contrario, i rischi di escalation del conflitto in una guerra della Nato con la Russia, che è una potenza nucleare di primo livello, si moltiplicherebbero. Ma, con le garanzie di sicurezza scritte nella legge Usa e di altri Paesi e con gli aiuti militari che faranno dell’Ucraina una piazzaforte, per Mosca sarà sempre più costoso proseguire la guerra e sarà ulteriormente disincentivata dal riprovarci, dopo la fine del conflitto in corso.
Kiev, grazie agli aiuti occidentali, dovrebbe diventare un boccone troppo difficile da ingoiare anche per la Russia, più di quanto non sia già ora. La Polonia, il più grande amico di Kiev nella Nato, è avviata sulla stessa strada, con una spesa militare al 3,9% del Pil, una percentuale maggiore di quella degli Usa. Per l’Ucraina, le garanzie di sicurezza all’israeliana sono il ‘second best’, dopo l’adesione alla Nato, che per ora non è possibile, almeno finché la guerra non finirà.
Lo stesso Jens Stoltenberg, segretario generale dell’Alleanza, ha sottolineato ripetutamente che la priorità ora è sostenere militarmente l’Ucraina, perché se Mosca dovesse prevalere “non ci sarà alcuna adesione da discutere”. Alcuni analisti ucraini hanno notato recentemente che il parallelo con Israele non regge, poiché, mentre lo Stato ebraico è interamente circondato da Stati ostili, l’Ucraina, anche se confina con Russia e Bielorussia, ha frontiere in comune anche con Paesi Nato e si affaccia sul Mar Nero, che ha anche coste Nato.
Zelensky deve rispondere alle attese del suo popolo, il che può contribuire a spiegare il tweet di martedì (in inglese, non in ucraino, quindi direttamente rivolto ad un’audience internazionale), in cui accusava gli occidentali di voler mettere l’adesione di Kiev alla Nato sul tavolo dei negoziati con Mosca, come una carta da giocare tra le altre.
Gli Usa hanno segnalato con una certa chiarezza di non avere gradito: il presidente Joe Biden ha disertato la cena dei leader di martedì sera, cui ha partecipato Zelensky. Il messaggio è arrivato forte e chiaro, tanto che il presidente ucraino ieri ha usato toni molto diversi. Ma per Kiev avere vere garanzie di sicurezza è fondamentale, per assicurarsi di non essere ‘mollati’, a un certo punto, da soli davanti alla Russia.
Lo ha spiegato chiaramente la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: “Se noi non capiamo – ha detto – che gli ucraini tenderanno a non fidarsi mai completamente di quello che si può definire in un tavolo di trattative, e che quindi serve che ci siano delle garanzie, vuol dire che non siamo in grado di lavorare in tema di pace”.
Oltre alle garanzie di sicurezza del G7, Kiev porta comunque a casa da Vilnius la riassicurazione, dopo quella del 2008 a Bucarest, che il suo futuro è nella Nato, quando gli alleati decideranno che ci saranno le condizioni. Inoltre, il percorso di adesione è stato alleggerito, da due fasi a una. Incassa anche un programma pluriennale di assistenza, che la aiuterà ad allineare le proprie forze armate agli standard atlantici.
E viene creato un Consiglio Nato-Ucraina, che sarà la sede in cui si deciderà la collaborazione con gli Alleati e in cui potrebbero trovare una ricomposizione anche alcuni problemi bilaterali, come quelli con l’Ungheria, generati dalle politiche linguistiche di Kiev nella Transcarpazia ucraina, dove i magiari sono la seconda comunità linguistica.
Il presidente Biden ha chiuso la trasferta lituana con un discorso nel cortile dell’Università di Vilnius, molto applaudito dalla folla. Ha ricordato i fatti del gennaio 1991, quando il popolo lituano scese in strada a difendere la riconquistata indipendenza contro i carri armati russi, azione che costò la vita a “14 eroi”. Allora, ha detto, “il mondo intero ha visto che decenni di oppressione non erano riusciti a spegnere la fiamma della libertà in questo Paese”.
Ha sottolineato che gli Usa non hanno mai riconosciuto l’annessione delle Repubbliche Baltiche, invase nel giugno del 1940 dopo il patto Molotov-Ribbentrop (vennero poi riannessi dall’Armata Rossa nel 1944) e ha rimarcato i profondi legami delle comunità baltiche negli Usa con le loro madrepatrie nel Nord Europa. “Sono orgoglioso – ha detto tra gli applausi – di chiamare la Lituania Paese amico, partner e alleato”. Biden ha sottolineato che Washington ha messo insieme una “coalizione di oltre 50 Stati”, che va oltre la Nato, “per essere sicuri che l’Ucraina possa difendersi, sia ora che in futuro”.
Contro le mire imperiali di Vladimir Putin, ha assicurato, “we will not waver”, “non vacilleremo”. E ha mandato un messaggio all’intera Europa, ancora traumatizzata dal quadriennio all’insegna dell’’America First’ di Donald Trump: “L’idea che gli Stati Uniti possano prosperare senza un’Europa sicura è irragionevole”, ha detto. P
er un Paese come la Lituania, nella cui capitale le bandiere ucraine sono più numerose di quelle nazionali rosse, verdi e gialle, l’impegno americano ad aiutare Kiev significa molto: da Vilnius arriva la promessa di aiutare l’Ucraina a trasformarsi in una sorta di porcospino, piazzato proprio davanti alla tana dell’orso russo. Un destino guerriero, quello dell’Ucraina, che pare scritto nella sua storia nazionale fin dall’Hetmanat, lo Stato cosacco che governò gran parte di quelle terre tra la metà del XVII secolo e la metà del XVIII.