(Adnkronos) – Era uno di quelli che meritava di essere ascoltato, o letto, sempre. Non perché, come tanti altri, avesse la verità in tasca ma perché si poteva stare certi che quella cosa detta o scritta fosse stata verificata meticolosamente, e che dietro quella cosa ci fosse un lavoro accurato. Andrea Purgatori era
un giornalista che sapeva fare il suo mestiere, cercando di avvicinarsi ai fatti per raccontarli nella maniera più chiara ed esaustiva possibile. Ma era anche molto altro, sceneggiatore, saggista, autore, attore. Tutto, sempre, rimanendo coerente con il suo metodo.
Domande, tutte quelle disponibili, senza accontentarsi delle prime risposte. E testimonianze, storie, persone che portassero alla notizia, al fatto, o alla ricostruzione un significato che fino a quel momento non era stato sufficientemente approfondito. L’ha fatto per una vita al Corriere della Sera, l’ha fatto in Rai e su La7, l’ha fatto scrivendo per il cinema, l’ha fatto ovunque e per chiunque abbia lavorato.
Un metodo, quello di Purgatori, che presuppone una spinta costante a non fermarsi, a cercare sempre di andare un passo oltre, o indietro, o di lato rispetto alle verità acquisite. Ma senza per questo sconfinare nel complottismo, senza avventurarsi nella costruzione di verità alternative, a tesi, che sconfinano facilmente nella disinformazione. Purgatori aveva la capacità di far parlare i fatti, tutti quelli che poteva ricostruire, senza rinunciare a cercare di capire da dove venivano e dove avrebbero portato.
Chi fa il suo stesso mestiere, o uno dei suoi mestieri, ha da oggi un riferimento in meno, i lettori e i telespettatori hanno una fonte di informazione in meno e, per una volta, l’indulgenza che con la morte si concede a tutti, o quasi, può sciogliersi nella banale e allo stesso tempo consistente constatazione che uno come Andrea Purgatori mancherà, e tanto, a tutti. (Di Fabio Insenga)