Patto anti inflazione? Funziona se conviene a tutti (industria compresa)

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L’inflazione resta troppo alta, dicono la Fed negli Stati Uniti e la Bce in Europa. E le banche centrali cercano di correggerla, utilizzando le leve della politica monetaria. I prezzi, soprattutto quelli al consumo, sono effettivamente su livelli difficilmente sostenibili ancora a lungo e il governo italiano si è mosso per provare a invertirne la tendenza: il patto anti inflazione lanciato dal ministro per le Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, è lo strumento individuato per velocizzare una riduzione del tasso di inflazione che resta troppo lenta per le esigenze dell’economia italiana.  

 

Firmato il 4 agosto scorso dal ministro con i rappresentanti delle associazioni della grande distribuzione e del commercio tradizionale, ma non dalle associazioni industriali, prevede un trimestre di iniziative per incidere sul carrello della spesa, con modalità da stabilire entro il 10 settembre. Imporrà prezzi calmierati su una selezione di prodotti, utilizzando prezzi fissi e attività promozionali. 

 

Il principale nodo da sciogliere è proprio la partecipazione all’iniziativa dell’intera filiera. Al Meeting di Rimini, Urso ha rivolto un invito esplicito alla componente industriale della trasformazione alimentare. “Le associazioni che rappresentano la grande industria aderiscano al patto anti-inflazione. Facciano come i loro colleghi francesi, che hanno aderito al patto nel loro Paese”. L’invito potrebbe essere raccolto nei prossimi giorni, a patto che siano percepite come ‘convenienti’ le modalità di un intervento del genere. I dubbi sollevati da Centromarca e Ibc, l’associazione dell’industria dei beni di consumo, a inizio agosto riguardavano soprattutto la necessità di coinvolgere tutti gli operatori della filiera alimentare che, a vario e diverso titolo, contribuiscono a formare i costi di produzione a partire da materie prime, energia, packaging, logistica, e concorrono dunque a comporre il valore finale del prodotto. L’idea, che potrebbe portare a una rivalutazione dell’accordo, è che possano effettivamente concorrere tutti. Ogni componente dovrebbe rinunciare a una quota di margine per consentire di abbassare i prezzi e di favorire una conseguente ripresa dei consumi. La corsa dei prezzi, è il ragionamento di fondo, si ferma se il mercato è in grado di assorbire una correzione al ribasso. Per ottenere questo risultato, è indispensabile svuotare tutte le sacche di speculazione che resistono lungo la filiera.  

 

A luglio, secondo i dati diffusi dall’Istat, l’indice dei prezzi al consumo ha registrato una crescita del 5,9% su base annuale mentre è rimasto invariato su base mensile, a fronte di un 6% e +0,1% comunicati in via preliminare. In frenata, per il quinto mese consecutivo, anche la crescita del cosiddetto “carrello della spesa”, che a luglio ha segnato +10,2% (+10,5% a giugno). La fase di rallentamento dell’inflazione, ha spiegato l’Istat, avviene “in un quadro di stabilità dei prezzi sul piano congiunturale”. L’inflazione acquisita per il 2023 rimane stabile a +5,6% per l’indice generale. (Di Fabio Insenga)  

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