(Adnkronos) –
Prove di disgelo e segnali distensivi tra Israele e Stati Uniti dopo le ultime giornate complesse e, in particolare, dopo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che per la prima volta ha chiesto un cessate il fuoco a Gaza. Washington non ha posto il veto alla risoluzione, scatenando l’ira di Israele.
Ora, mentre l’offensiva delle forze israeliane contro Rafah rimane una prospettiva concreta, il dialogo Tel Aviv-Washington sembra destinato a ripartire. “L’ufficio del primo ministro” israeliano Benjamin Netanyahu “ha accettato di riprogrammare l’incontro dedicato a Rafah. Ora stiamo lavorando per una data che vada bene per entrambe le parti”, ha dichiarato durante un briefing la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, confermando che il governo Netanyahu intende riprogrammare la visita negli Usa della delegazione dello Stato ebraico precedentemente annullata dopo il varo della risoluzione Onu.
L’ufficio di Netanyahu ha effettivamente informato la Casa Bianca della volontà di riprogrammare la visita, secondo quanto riferito in precedenza da un funzionario americano alla Nbc.
La visita aveva – e avrà – come tema centrale l’annunciata operazione a Rafah, che gli Stati Uniti continuano a giudicare in maniera estramente negativa. “Riteniamo che una grande operazione di terra a Rafah sia un errore. Pensiamo che ci siano altri modi di colpire Hamas a Rafah”, ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale americano John Kirby, intervistato dall’emittente israeliana Channel 12.
Il segretario americano alla Difesa Lloyd Austin ha detto al collega israeliano Yoav Gallant che “gli Stati Uniti non possono sostenere a grande offensiva di terra a Rafah che non comprenda un realizzabile piano per la sicurezza del milione e mezzo di abitanti di Gaza che vi ci sono rifugiati”, ha proseguito Kirby, sottolineando che gli Stati Uniti aspettano la delegazione israeliana a Washington per discutere di altri modi per colpire Hamas nell’area che accoglie quasi 2 milioni di civili.
Gli Stati Uniti, parallelamente, sono impegnati nell’opera per mantenere vivi i negoziati che potrebbero portare ad un cessate il fuoco. Il Dipartimento di Stato Usa è convinto che ci sia ancora spazio per il dialogo tra Israele e Hamas sugli ostaggi, anche se restano ancora ”questioni difficili da risolvere”, ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller.
“Per come sono questo tipo di negoziati, quando si arriva alla fine, quando si fanno progressi, le questioni che rimangono sono spesso le più difficili. Di solito non si risolvono prima le questioni più difficili, le si risolvono per ultime”, ha detto Miller. ”Devono essere risolte alcune delle questioni rimaste. Sono alcune delle più difficili e anche quelle dove c’è il maggior disaccordo tra Israele e Hamas. Pensiamo che sia possibile colmare queste differenze”, ha aggiunto.
Nelle stesse ore, gli Stati Uniti hanno sollevato con il governo israeliano la questione del trattamento riservato in carcere a Marwan Barghouti, una delle figure politiche palestinesi più importanti, in seguito alle accuse avanzate dalla sua famiglia e dall’Olp secondo cui avrebbe subito maltrattamenti fisici e psicologici dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre.
L’Olp, in particolare, ha accusato le autorità israeliane di aver commesso “torture” e “abusi” su Barghouti, il dirigente di Fatah incarcerato dal 2002 nello Stato ebraico e condannato a cinque ergastoli per il suo presunto ruolo nella pianificazione degli attacchi durante la Seconda Intifada. Barghouti, che in tribunale ha respinto tutte le accuse, è detenuto nella prigione di massima sicurezza di Megiddo.
Funzionari statunitensi hanno affermato di essere a conoscenza delle accuse di abusi, mentre il Dipartimento di Stato, in risposta a domande su Barghouti, ha dichiarato in una nota al Washington Post di aver informato Israele che deve “indagare in modo approfondito e trasparente sulle accuse credibili e garantire la responsabilità di eventuali abusi o violazioni”, sottolineando che ai detenuti palestinesi devono essere garantite “condizioni dignitose e in conformità con il diritto internazionale”.
La questione del rilascio di Barghouti è un tema popolare tra i palestinesi che lo considerano un possibile successore del leader dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas. Barghouti è in cima alla lista dei prigionieri che Hamas vuole che Israele rilasci in cambio della liberazione degli ostaggi.
In un’intervista al Washington Post, il figlio di Barghouti, Arab, che vive in Cisgiordania, ha sostenuto che dopo il 7 ottobre suo padre è stato aggredito fisicamente, messo in isolamento al buio per 12 giorni e costretto ad ascoltare in cella l’inno nazionale israeliano “ad un volume altissimo, dalle cinque del mattino circa fino a mezzanotte, per molti giorni”.
Un avvocato che ha incontrato l’esponente palestinese questa settimana ha riferito alla famiglia di aver visto lividi sul suo occhio destro e che Barghouti gli ha mostrato lividi sulla schiena e sul piede destro. L’avvocato ha scritto che Barghouti gli ha detto che il 6 marzo “sono stato picchiato per molti minuti su tutto il corpo, principalmente sul viso, sulla schiena e sulle gambe. La gravità del pestaggio mi ha fatto crollare a terra, a quel punto hanno continuato a colpirmi finché non ho perso conoscenza”. Un portavoce del servizio carcerario israeliano ha affermato che il servizio “è un’organizzazione rispettosa della legge. Non siamo a conoscenza di queste affermazioni”.