(Adnkronos) – “Sicuramente abbiamo avuto, come in genere avviene nel periodo primaverile, un elevatissimo numero dei casi di infezioni da streptococco, che si sono manifestate prevalentemente come faringotonsilliti. E’ una situazione tuttora presente, un problema molto grosso soprattutto per i pediatri di famiglia. Quello che abbiamo osservato nel mese di maggio, anche probabilmente per le condizioni atmosferiche, è un significativo numero” di infezioni di questo tipo. “Adesso, nel mese di giugno, il numero sembra più contenuto. Per quanto riguarda le forme invasive, possiamo dire che non stiamo osservando quell’aumento molto rilevante che si era evidenziato lo scorso anno. Ma i casi, seppur in numeri più contenuti, sono stati certamente superiori a quelli dell’epoca pre-Covid. E prevalentemente, tra le forme invasive, stiamo maggiormente osservando polmoniti, anche complicate da versamento pleurico”. A tracciare il quadro all’Adnkronos Salute è Susanna Esposito, ordinario di Pediatria all’Università di Parma e responsabile del Tavolo tecnico malattie infettive e vaccinazioni della Società italiana di pediatria (Sip).
I genitori di bambini che frequentano scuole materne ed elementari hanno potuto sperimentare in prima persona l’impatto dello streptococco ‘in veste primaverile’ in azione, anche solo osservando la frequenza con cui, fino alle ultime settimane, comparivano i cartelli di avviso all’ingresso: “Abbiamo registrato un caso di scarlattina”, il testo classico, al quale segue in genere nelle chat di classe la comunicazione di ulteriori tamponi positivi. Con conseguente super lavoro anche per i pediatri di famiglia. “Un’indicazione da ricordare è di fare sempre il test rapido, non fai-da-te ma il tampone faringeo eseguito adeguatamente dal dottore di famiglia, perché un genitore non riesce a farlo bene da solo”, avverte Esposito.
Perché è importante? “L’antibiotico nella faringotonsillite va dato esclusivamente quando lo streptococco è presente. Anche perché – chiarisce la specialista – attualmente sta circolando sia lo Streptococcus pyogenes”, lo streptococco beta emolitico di gruppo A, “ma in contemporanea anche il virus della mononucleosi. E se è vero che l’amoxicillina è il farmaco di riferimento per l’infezione streptococcica, va anche ricordato che usarlo impropriamente se si tratta di mononucleosi può portare a delle manifestazioni orticarioidi”.
Lo streptococco è ormai da tanto un ‘osservato speciale’. E oggi torna sotto i riflettori per via di un alert lanciato dai nefrologi, sulla base di alcuni studi retrospettivi condotti in alcune zone d’Italia che indicano come “nell’ultimo anno, nella popolazione pediatrica”, siano “raddoppiati i casi di glomerulonefrite acuta, strettamente correlati all’aumento delle infezioni da streptococco”. Un patogeno dalle mille facce che può dare segno di sé in tanti modi, anche quelli più invasivi. E proprio riguardo alle forme invasive, Esposito spiega che “normalmente portano alla necessità di ricovero e, di conseguenza, essendo più gravi, nel momento in cui il bambino sarà ricoverato verrà trattato nella maniera più opportuna dagli specialisti. Diciamo che non c’è una possibilità di prevenzione di queste forme. L’unica modalità è l’attenzione alla circolazione dell’agente infettivo. E naturalmente al pronto trattamento qualora il patogeno venga identificato”.
Queste forme sono aumentate dopo il Covid e gli scienziati hanno condotto diversi studi per approfondirne le cause. “Sembra che ci sia nella fase post pandemia una sorta di riduzione dell’immunità protettiva verso i genotipi comuni di Streptococcus pyogenes. E vi è stato un aumento della circolazione delle infezioni virali che di per sé è un fattore di rischio per le infezioni invasive – osserva l’esperta – E poi c’è meno attenzione al lavaggio delle mani. C’era anche prima, in realtà. Però, considerata l’immunità ridotta, considerato l’aumento della circolazione dei virus che nella fase di lockdown sono circolati di meno, di fatto si è osservato quest’aumento”. Altre ipotesi formulate dagli esperti, come “il fatto che ci fosse un ceppo molto virulento e diffusibile, sono state in parte sconfessate da dati epidemiologici che hanno studiato la parte genetica relativa ai tipi circolanti. Quanto alla sensibilità agli antibiotici beta-lattamici, è invece confermata, cosa che porta a dire che il problema non è l’antibiotico-resistenza, altro elemento che si temeva”.
C’è un identikit di chi sviluppa la forma invasiva? “Non c’è una evidenza che certi soggetti siano più a rischio. Ci sono alcune categorie che tendono più spesso a presentare un’infezione invasiva: i bambini con età minore di un anno, gli immunodepressi, chi ha avuto un recente trauma o un recente intervento chirurgico. E infine le forme invasive possono essere una complicanza dei casi di varicella”. Regole d’oro per la prevenzione, ricorda Esposito, sono “come sempre la corretta igiene delle mani, in primis; l’aerazione degli ambienti interni, soprattutto pensando alle classi di asilo e scuola elementare; e poi attenzione alla condivisione di utensili, bicchieri, oggetti personali, quindi ai comportamenti promiscui”.