(Adnkronos) – “L’atassia di Friedreich (Af) è una malattia neurologica multisistemica progressiva a trasmissione autosomica recessiva. Si eredita dunque da ambedue i genitori”. La malattia rara è causata da “una alterazione del gene della fratassina, che ne determina una riduzione sostanziale. Questa è una proteina essenziale che si associa alla membrana interna dei mitocondri, organuli deputati alla creazione dell’energia cellulare. La carenza di fratassina porta una disfunzione mitocondriale multiforme che compromette molti sistemi d’organo, in particolare quello nervoso, il cardiaco e l’endocrino”. Lo ha detto il neurologo Enrico Bertini, responsabile dell’Unità di ricerca Malattie neuromuscolari e neurodegenerative dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, partecipando all’incontro con la stampa organizzato oggi a Milano da Biogen, a una settimana dalla Giornata mondiale dell’atassia, che si celebra ogni 25 settembre.
L’Af, la più comune delle atassie ereditarie (rappresenta il 50% dei casi), “si manifesta con” sintomi neurologici come “difficoltà di equilibrio e mancanza di coordinazione dei movimenti progressivo nel tempo – continua l’esperto – Talvolta si riscontrano anche movimenti oculari anomali e cambiamento dell’eloquio. Cecità e sordità possono essere altre manifestazioni della patologia, spesso – ma non sempre – tardive, così come l’urgenza urinaria. Al disturbo di coordinamento iniziale, poi, segue un disturbo di fatica e molti pazienti sviluppano una scoliosi”. Nel 90% dei casi i segni all’esordio sono di tipo neurologico, mentre nel restante 10% si hanno altri campanelli d’allarme, come la scoliosi o una cardiomiopatia. In Italia si stima che ci siano circa 600-700 pazienti con atassia di Friedreich e, in linea generale, si rileva una prevalenza di circa 1-2 persone ogni 50mila nel mondo, 1 su 20mila-50mila in Europa, con incidenze maggiori nel sud ovest della Francia, in Irlanda e nel nord della Spagna. Nettamente inferiore è la prevalenza in Africa, più alta invece quella canadese.
L’esordio classico, nel 75% dei casi, è tra i 15 e i 24 anni, ma esistono anche forme ad esordio precoce e tardivo: nel primo caso la progressione patologica è più rapida, mentre nel secondo è più lenta. “Questa malattia colpisce nella maggior parte dei casi giovani adulti o adolescenti – precisa Bertini – In questi ultimi anni si parla di più di questa malattia in quanto stanno sorgendo delle possibilità terapeutiche e, quindi, è diventato importante, nel campo medico, focalizzarsi sulla diagnosi precoce, in quanto più precocemente si interviene, meglio si può condizionare la progressione di questa malattia”. Se infatti finora le sole terapie disponibili prevedevano la somministrazione di farmaci e integratori antiossidanti e una costante fisioterapia, oggi esiste una nuova opzione terapeutica: l’omaveloxolone. Sviluppato negli Stati Uniti e approvato dalla Fda americana nel 2023 e dall’europea Ema a febbraio 2024, omaveloxolone è stato recentemente inserito da Aifa per l’utilizzo in regime di 648, con l’indicazione per soggetti sopra i 16 anni.