(Adnkronos) –
Jimmy Carter, il 39esimo presidente degli Stati Uniti, in carica tra il 1977 e il 1981, domani, 1 ottobre compirà 100 anni diventando il primo ex presidente centenario della storia americana. Un traguardo che l’anziano democratico si accinge a varcare dopo che si era temuto che fosse in fin di vita quando, 19 mesi fa, ha iniziato a ricevere cure in hospice a casa ed interrompere i ricoveri ospedalieri.
Nella sua casa di Plains, in Georgia, lo scorso novembre, si è spenta, a 96 anni, la moglie Eleanor Rosalynn, sposata 77 anni prima, e ai funerali della moglie Carter ha fatto una delle sue rare apparizioni pubbliche sulla sedia a rotelle, attorniato dai suoi quattro figli. A maggio, il nipote Jason Carter aveva detto che il nonno si “stava avvicinando alla fine”. In questi mesi, l’ex presidente ha continuato a seguire l’attualità della politica e ai familiari nei mesi scorsi ha detto: “Sto cercando di farcela per poter votare Kamala Harris” a novembre, secondo quanto riferito dal nipote all’inizio dei agosto.
E’ stato sempre Jason a fare gli onori di casa al Fox Theatre di Atlanta dove la scorsa settimana una serie di star hanno partecipato ad un concerto per celebrare i 100 anni del più illustre cittadino della Georgia, che è quattro anni più anziano dello stesso teatro. “Non tutti arrivano a 100 anni, quando qualcuno lo fa ed usa questo tempo per fare del bene, bisogna festeggiare”, ha detto il nipote dell’ex presidente che nel 2014 si è candidato governatore in Georgia.
“Questa è la prima volta che si celebra il 100esimo compleanno di un presidente degli Stati Uniti”, ha detto ancora salutando le 4mila persone che hanno assistito al concerto, che sarà trasmesso martedì dal Georgia Public Broadcasting. Tra gli artisti che si sono esibiti, Angélique Kidjo of Benin, BeBe Winans e Carlene Carter, mentre altri, tra i quali Bob Dylan e Jon Stewart, hanno mandato messaggi. Come messaggi sono arrivati da tutti i presidenti ancora in vita, tranne Donald Trump.
Agli antipodi a livello ideologico, con Trump Carter condivide il fatto di essere uno dei pochi presidenti americani a non essere stato rieletto al secondo mandato, almeno consecutivo considerata la nuova candidatura del tycoon. La fine del suo mandato infatti fu segnata dalla drammatica crisi degli ostaggi nell’ambasciata americana a Teheran e dal tragico fallimento dell’operazione militare per mettervi fine. Sconfitto da Ronald Reagan, Carter ha poi avuto una seconda vita pubblica grazie all’impegno della sua Carter Foundation che gli fruttò il premio Nobel per la pace nel 2002.
James Earl Carter Jr. è nato il primo ottobre del 1924 a Plains, in Georgia. Dopo aver frequentato l’accademia navale, servì nei sommergibili della Us Navy nell’immediato dopoguerra. Nel 1953, la morte prematura del padre lo costrinse a prendere le redini dell’azienda agricola di famiglia per la produzione di noccioline. Animato da una profonda fede battista e impegnato contro la segregazione razziale, Carter si lanciò in politica, diventando prima senatore e poi governatore della Georgia.
Nel 1976 ha vinto a sorpresa le primarie democratiche, malgrado fosse inizialmente poco conosciuto fuori dal suo stato. Considerato un outsider, a novembre sconfisse di misura Gerald Ford, che aveva assunto la presidenza dopo le dimissioni di Richard Nixon per lo scandalo Watergate. Immediatamente dopo il suo insediamento, Carter sancì una grazia senza condizione a tutti i giovani che si erano sottratti alla leva per non combattere in Vietnam, in tutto 100mila giovani che tra gli anni sessante e settante erano fuggiti all’estero, il 90% in Canada.
Durante la sua presidenza, Carter si è impegnato per creare una politica nazionale per l’energia e, sul piano diplomatico perseguì una politica di pacificazione. Grazie agli accordi Camp David, favorì la firma della pace fra Egitto e Israele nel 1979. Con l’Unione Sovietica negoziò il secondo round del trattato Salt sulla limitazione delle armi strategiche. Ma il 1979 fu segnato dalla crisi energetica e, alla fine dell’anno, dall’invasione sovietica dell’Afghanistan, che fece ripiombare il mondo nel clima della guerra fredda.
Il 4 novembre 1979, un gruppo di studenti iraniani fece irruzione nell’ambasciata americana a Teheran e prese in ostaggio 52 diplomatici e cittadini americani. Fu l’inizio di una drammatica crisi, che gli americani vissero come un’umiliazione nazionale, tanto più dopo il fallimento, il 24 aprile 1980, di un raid militare per liberare gli ostaggi. Gli americani furono rilasciati dopo 444 giorni, il 20 gennaio 1981, quando ormai Carter era stato drammaticamente sconfitto da Ronald Reagan alle elezioni di novembre.
Se il giudizio degli storici sulla presidenza Carter non è sempre lusinghiero, l’ex presidente ha poi avuto una lunga seconda vita impegnata con successo nella promozione del dialogo internazionale e lo sviluppo attraverso il suo Carter Center. In questa veste ha condotto negoziati di pace, monitorato elezioni, ottenuto la liberazione di prigionieri, appoggiato iniziative di cooperazione per eradicare povertà e malattie. Per questo suo impegno ha ottenuto il Nobel per la pace nel 2002. Sposato dal 1946 con Rosalyn, Carter è padre di quattro figli, nonno e bisnonno.