(dall’inviata Elvira Terranova) – Perché nel giugno del 1994 l’ex pentito Vincenzo Scarantino si chiudeva per ore nella stanza dell’allora Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra prima o dopo gli interrogatori? Di cosa discutevano? La rivelazione fatta nel febbraio del 2020 dall’ex Procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio viene adesso confermata da un ex poliziotto, da pochi mesi in pensione. Che alla domanda perché abbia atteso tutti questi anni per dirlo, ha risposto: “Perché nessuno me lo aveva mai chiesto…”. Domenico Militello, ex sostituto commissario in forza alla Dia di Palermo, è stato ascoltato oggi per oltre due ore nel dibattimento che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, tutti accusati di calunnia aggravata in concorso per avere ‘imboccato’, secondo la Procura di Caltanissetta, l’ex collaboratore di giustizia Scarantino, subito dopo le stragi del ’92.
“Ho accompagnato il pentito Scarantino all’interrogatorio alla Procura di Caltanissetta. E quando è finito l’interrogatorio lo abbiamo accompagnato nella stanza del Procuratore Tinebra. Non lo avevo mai detto fino ad oggi perché nessuno me lo aveva chiesto…”, ha raccontato Militello, sentito come teste della difesa. Era il 29 giugno 1994, cioè il giorno dell’interrogatorio dell’ex collaboratore di giustizia che poi ha smentito le sue stesse dichiarazioni. Ma nel frattempo ha fatto condannare all’ergastolo degli innocenti. “Scarantino ha posto al Procuratore delle domande relativamente alla sua collaborazione, ad esempio sulla scuola dei figli, l’eventuale relazione con la moglie con cui non si era ancora incontrato. Ricordo che ha chiesto anche la possibilità di vendere la casa dove abitava alla Guadagna. Mi rimase impressa questa cosa. Lui disse valeva 200 milioni di lire”, ha raccontato Militello.
Il 20 febbraio del 2020 Ilda Boccassini, il magistrato che indagava sulla strage di via D’Amelio aveva fatto già questa rivelazione: “Quando Scarantino arrivava in procura a Caltanissetta, si chiudeva in una stanza da solo con il Procuratore Tinebra. Non so il tempo preciso ma per un bel po’. Poi Tinebra apriva le porte e si entrava a fare l’interrogatorio. Alla luce di questo, di tutti i miei tentativi di cambiare metodi e atteggiamenti, dei colleghi che non vedevano l’ora che me ne andassi, scrissi una seconda relazione. Tutti sapevano, tutti conoscevano questa relazione, dove mettevo per iscritto che secondo me si dovevano rispettare i codici”. Durante la deposizione Boccassini aveva fatto riferimento a relazioni “sparite” in cui parlava della inattendibilità di Scarantino e che sarebbe stata “mandata via” dalla Procura proprio perché aveva iniziato “a capire che Scarantino diceva sciocchezze”.
“La Boccassini era spessissimo nei nostri uffici. Ricordo quando mettemmo una microspia. Quando venne fuori che si erano portati il figlio del collaboratore Di Matteo. Che i fratelli Vitale si erano messi a disposizione per farlo portare via. Boccassini e Arnaldo La Barbera ci hanno atteso fino a notte, ricordo. Ci attendevano in ufficio per aspettare noi”, ricorda l’ex poliziotto. E poi racconta che dopo la strage di via D’Amelio “sono andato all’anagrafe per identificare gli immobili di tutti, per vedere se c’era qualche soggetto noto. Sono stato impegnato diverse ore, all’indomani sono andato in via D’Ameli. Abbiamo collaborato con la Scientifica e i vigili del fuoco per risalire ai pezzi di macchine saltati in aria, per cercare di portare via i rottami”.”I primi giorni Scarantino era tranquillo, quando lo incontrammo all’aeroporto militare di Boccadifalco era tranquillo. I problemi sono nati dopo, quando è arrivata la moglie. Perché Scarantino era di una gelosia folle”. A dirlo, interrogato al processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio è Vincenzo Militello, ex sostituto commissario della Dia di Palermo. Rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Seminara, che difende due dei tre imputati, ha ripercorso i momenti dopo la collaborazione dell’ex pentito Vincenzo Scarantino. Alla domanda della parte civile se Scarantino avesse “paura di qualcosa”, Militello ha risposto: “Assolutamente no”.
Poi, sollecitato dalla difesa ma anche dall’accusa, rappresentata oggi dal pm Maurizio Bonaccorso, Militello, parlando dell’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera ha detto: “Nel libro mastro dei Madonia non c’era alcun riferimento ad Arnaldo La Barbera. In passato era stato il collaboratore di giustizia Vito Galatolo, ex picciotto dell’Acquasanta, a fare il nome di Arnaldo La Barbera. Secondo Galatolo ci sarebbe stato un legame tra la famiglia mafiosa dei Madonia e Arnaldo La Barbera, coordinatore delle prime indagini sulla strage Borsellino, quelle depistate dalle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. ”La Barbera – aveva raccontato Galatolo – era a libro paga dei Madonia, me lo disse mio zio Giuseppe Galatolo. Mi ricordo che dopo strage di via d’Amelio c’era il dottor Arnaldo La Barbera che si muoveva nella nostra zona. Mio zio ci diceva anche che Gaetano Scotto, dell’Arenella, aveva contatti con i servizi, ma non so se abbiano partecipato o meno alle stragi”.
Ma oggi il poliziotto della Dia ha detto che nel libro mastro dei Madonia non c’era il riferimento a La Barbera. “Non ho contezza del fatto che Arnaldo La Barbera fosse a libro paga del Sisde. Io l’ho appreso successivamente dalla stampa”. Così, interrogato come teste della difesa, il poliziotto Vincenzo Militello, nel processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Si scoprirà nel 2010 che La Barbera sarebbe stato a libro paga del Sisde negli anni in cui al vertice dell’intelligence sedeva Bruno Contrada, poi condannato per concorso esterno per le dichiarazioni di Gaspare Mutolo.
Nel corso del controesame del pm Maurizio Bonaccorso, è stato chiesto a Militello se fosse a conoscenza di eventuali rapporti tra La Barbera con la mafia. E se avesse mai avuto incontri con mafiosi. “Assolutamente no. La Barbera era un tipo schivo – ha detto Militello – usciva sempre scortato, ogni tanto si faceva qualche passeggiata la sera con qualche collega, qualche funzionario. Da solo non usciva mai anche perché era stato minacciato di morte”. Il processo è stato rinviato al prossimo 27 ottobre, all’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta. Le udienze successive saranno il 10 novembre, sempre al bunker e il 12, 19 e 26 novembre in Tribunale.