Per Arturo Parisi, che i giorni dell’Ulivo li ha vissuti da protagonista, quell’esperienza continua a “far rima con nostalgia” ma più che del passato, “nostalgia per il futuro, per un progetto di lunga durata per cui spendersi”. Parlando con l’Andkronos, il Professore però evidenzia come quel modello sia difficilmente replicabile, “troppe condizioni sono venute meno rispetto a 25 anni fa”. E a Enrico Letta che lavora per un’alleanza larga, qualcuno la chiama ‘nuovo Ulivo’, Parisi lancia un consiglio innanzitutto: il maggioritario che “rappresenta certo la prima condizione per poter parlare di Ulivo”. Letta, ricorda Parisi, “disse che gli sarebbe piaciuto ripartire dal Mattarellum ma poi non ho sentito più nulla”.
Professor Parisi, che effetto le ha fatto vedere la festa del Pd a Santi Apostoli? “È passato ormai più di un quarto di secolo. Ma per chi visse quei giorni Santi Apostoli continua più che mai a far rima con nostalgia. Nostalgia del passato, ma molto, molto più nostalgia del futuro. Di un progetto di lunga durata per cui spendersi a vantaggio di tutto il Paese, più che della gioia di una occasionale vittoria di parte di una notte lontana”. Letta ha detto che i ‘simboli contano’, insomma il segretario del Pd pensa all’Ulivo come modello, fa bene? “Sì i simboli contano. D’altra parte anche in quello del Pd il segno dell’Ulivo continua a ricordare qual è il solco del nostro cammino. Ma ispirazione è una cosa, modello una cosa diversa. La prima rimanda al sentimento. Il secondo al ragionamento”.
Da Renzi a M5S. E’ la ricetta dell’alleanza larga di Letta, le sembra una formula attuabile? “Appunto. Troppe le condizioni che nel frattempo sono venute meno rispetto a venticinque anni fa. Basterebbe il confronto tra il palco di quel lontano aprile del 1996 e quello della sera di lunedì scorso. Allora gli esponenti di tutte le anime del centrosinistra riunite attorno a Prodi segno e guida dell’unità della coalizione. Ora sul palco, per dirla con le parole di Letta, una ‘squadra’, la ‘squadra’ del Pd. L’unico vincitore del turno elettorale amministrativo. Mentre i giornali tutti parlavano di vittoria di un indefinito centrosinistra, un centrosinistra dentro il quale stavano e stanno vincitori e vinti”.
Chi esce peggio dal voto i sovranisti leghisti e Meloni o i 5 Stelle? “Nell’immediato senza alcun dubbio i 5 Stelle. Mentre il centrodestra ha sicuramente perso e dovrà faticare molto per ritrovarsi sul piano politico, ma a stare ai comuni persi non altrettanto su quello elettorale. I 5S oltre ad aver perso pesantemente sul piano elettorale, danno l’idea di essersi persi su quello politico”. Il Pd dovrebbe lasciare i 5 Stelle al loro declino per costruire un progetto con l’area riformista di centro? “Tutto dipende da che cosa vuole fare da grande e, ancor prima, quale l’Italia che vuole. A mente fredda dovrà quindi innanzitutto riflettere sul grande risultato raggiunto sul piano psicologico, unito all’indiscussa crescita sul piano istituzionale, distinguendoli dal più modesto risultato elettorale e, soprattutto, dall’incertezza che questo passaggio amministrativo apre sul piano della strategia politica. Ha detto bene Letta quando ha parlato di una vittoria eccessiva. Non è la prima volta che vittorie amministrative hanno preparato e prodotto sconfitte politiche”.
Consiglierebbe a Letta di tentare la strada di una maggioranza in Parlamento per una riforma in senso maggioritario della legge elettorale per dare forza ad un progetto che si richiama all’Ulivo? “La legge elettorale -spiega Parisi- rappresenta certo la prima condizione per poter parlare di Ulivo. Ma non una qualsiasi. Una che assomigli il più possibile a quella che nel 1995 ci spinse ad unirci per raccogliere l’anno dopo la sfida di Berlusconi. Certo una legge maggioritaria ma soprattutto una fondata sul collegio uninominale. Letta disse che gli sarebbe piaciuto ripartire dal Mattarellum. Cioè a dire: una rivoluzione. Visto che la direzione di marcia concordata con i 5Stelle era all’opposto, quella di rendere il più proporzionale possibile la legge attuale. Poi non ho sentito più nulla. Senza sorprese”. “Ho idea che le uniche correzioni alla legge elettorale attuale possano risultare dal comune interesse dei capi partito a difendersi dall’entrata in campo di nuove proposte politiche siano esse figlie di movimenti interni o esterni al parlamento attuale. E soprattutto dal l’interesse a mantenere stretta nelle loro mani la vergognosa nomina dei nuovi parlamentari. Tutte pulsioni destinate ad accrescere la distanza tra rappresentanti e rappresentati, e quindi ad aumentare ulteriormente l’astensionismo”. (di Mara Montanari)