(Adnkronos) – “Il crescente coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni dei pazienti da parte dei decisori pubblici nella definizione delle scelte più rilevanti per l’assistenza sanitaria rappresenta certamente l’inveramento di una delle principali novità introdotte quarant’anni fa dalla riforma sanitaria. L’introduzione del Servizio sanitario nazionale – che ha dato, pur in ritardo, piena attuazione all’art. 32 della Costituzione – ha posto al centro dell’organizzazione sanitaria la persona”. Così Vincenzo Antonelli, docente di diritto sanitario e farmaceutico presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, al termine del corso sul coinvolgimento dei cittadini da parte delle istituzioni, che l’esperto ha tenuto nell’ambito della prima edizione di ‘Raise the Patients’ Voice’, progetto di alta formazione promosso da Janssen Italia, in collaborazione con l’Alta Scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica di Roma. Obiettivo dell’iniziativa, che si concluderà nelle prossime settimane: rispondere al bisogno da parte delle associazioni dei pazienti di comunicare in maniera efficace con le istituzioni.
“Un servizio sanitario chiamato a promuovere e garantire in maniera universalistica ad ogni persona il diritto fondamentale alla ‘tutela’ della salute, che intende realizzare i principi di uguaglianza, universalità, partecipazione e solidarietà – ha aggiunto Antonelli, che è anche direttore del corso di perfezionamento in Terzo settore e sanità di Altems – non può non mettere al centro di ogni decisione pubblica la persona nella sua unicità e totalità”. Secondo il docente, il coinvolgimento dei pazienti “porta ad un cambiamento o più correttamente ad una inversione di prospettiva per le istituzioni pubbliche: non più decisioni imposte dall’alto, ma condivise e partecipate, che muovono dal basso e dagli effettivi bisogni delle persone”.
Dal dialogo con i cittadini, evidenzia Antonelli, “i decisori pubblici possono in primo luogo trarre certamente maggiore legittimazione per la loro azione, colmando la distanza dalle persone, fruitori finali dei servizi sanitari. In secondo luogo, il coinvolgimento dei pazienti può assicurare maggiore aderenza dell’organizzazione e dell’erogazione dell’assistenza sanitaria rispetto alla reale domanda di salute, promuovendo in tal modo l’efficienza, l’efficacia, l’appropriatezza e la trasparenza dei servizi sanitari anche in relazione all’utilizzo delle risorse. In terzo luogo, il dialogo con i cittadini potrebbe contribuire a ridurre, ad attenuare e, se possibile, a superare la crescente conflittualità che caratterizza la relazione tra operatore sanitario e paziente e allo stesso tempo a promuovere la sicurezza delle cure”.
Per il docente della Cattolica, è “auspicabile uno scambio aperto ed equilibrato, che dovrebbe caratterizzare tutti i momenti dell’organizzazione dei servizi sanitari, dalla programmazione all’erogazione delle prestazioni sanitarie, e che dovrebbe tuttavia rispettare i diversi ruoli e le diverse responsabilità degli attori coinvolti”. In particolare, lo “scambio – evidenzia Antonelli – dovrebbe essere il più possibile inclusivo e trasparente, senza commistione di interessi, ma anche appianare le asimmetrie informative, evitare fenomeni di deresponsabilizzazione e promuovere, invece, una maggiore accountability da parte delle istituzioni pubbliche. Uno scambio che oggi assume sempre più le forme della cittadinanza attiva, di un apporto concreto da parte dei pazienti, delle loro associazioni e più in generale del terzo settore”.
Alla domanda se le istituzioni sono attrezzate per portare avanti un colloquio aperto con i cittadini e le associazioni dei pazienti, l’esperto non ha dubbi: “Purtroppo non lo sono – risponde – Salvo alcune esperienze positive, la diffidenza verso i cittadini, l’autoreferenzialità, la segretezza, l’approccio burocratico e formale appaiono come i caratteri che ancora oggi contraddistinguono i processi decisionali pubblici, ostacoli che possono essere superati solo alimentando un ampio cambiamento culturale. C’è bisogno da parte delle istituzioni pubbliche di abbracciare una cultura dell’ascolto e della condivisione, ma anche della reale volontà di sperimentare nuovi strumenti e modalità di partecipazione e confronto anche alla luce dell’innovazione tecnologica e comunicativa che attraversa la nostra società”.
In merito al Patto per la Salute 2019-2021, sottoscritto dalla Conferenza Stato-Regioni, per Antonelli “rappresenta un’importante tappa verso un effettivo impegno da parte delle istituzioni pubbliche per un maggior coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni dei pazienti nella definizione delle politiche sanitarie e nell’organizzazione dei servizi sanitari”. Il Patto, ricorda, “impegna il Governo centrale e le Regioni a incrementare la capacità di intercettare e di rispondere più efficacemente ai bisogni dei cittadini, di valorizzarne il peculiare punto di vista e di favorirne una partecipazione di qualità nell’intero ciclo della politica sanitaria attraverso la promozione della conoscenza del cittadino assistito per l’attuazione di efficaci prospettive di patientcentric e l’implementazione di processi di gestione della relazione con il cittadino che si sostanziano nell’insieme di informazioni e dati, procedure organizzative, modelli comportamentali, nonché strumenti e tecnologie, che sono in grado di gestire tutta la relazione con il cittadino. In particolare, il Patto per favorire il coinvolgimento del cittadino punta soprattutto sulla valorizzazione delle nuove tecnologie nei rapporti tra le strutture sanitarie e i pazienti. Si tratta di obiettivi che, a seguito della pandemia in corso, devono essere riletti alla luce del Pnrr, che in ambito sanitario rilancia la medicina di prossimità e di comunità e l’utilizzo delle nuove tecnologie”.
“Certamente – conclude il docente della Cattolica – una delle più efficaci leve per favorire l’empowerment delle associazioni dei pazienti è costituita dalla realizzazione di specifici percorsi formativi, capaci di fornire e coniugare insieme conoscenze, competenze e valori. Una formazione che possa di tradursi in un impegno concreto, che consenta alle associazioni di sperimentare e sviluppare nuove pratiche partecipative, di promuovere presso le istituzioni pubbliche nuove modalità di relazione, dialogo, confronto e scambio. Una formazione che sia anche ‘accompagnamento’ sul campo. Su un piano più in generale, c’è bisogno di promuovere maggiore informazione e consapevolezza attraverso efficaci, innovativi, corretti e veritieri canali di informazione e comunicazione”.