(Adnkronos) – “Il decreto lavoro approvato il 1°maggio scorso si caratterizza per la scelta di affrontare molte tematiche, tra loro non omogenee e offre le prime indicazioni di quella che sembra essere l’impostazione che l’attuale esecutivo intende dare materia di lavoro. In attesa di poter commentare la versione definitiva che verrà pubblicata in Gazzetta Ufficiale, senza dare per scontate scelte normative che – la storia recente insegna – possono non essere definitive, ecco alcune prime riflessioni. Da una prima lettura del testo, emerge l’intenzione di introdurre misure (temporanee) che guardano al riequilibrio del cuneo fiscale (problema storico e di difficilissima soluzione) ed in generale al tema del costo del lavoro, al superamento delle criticità emerse in sede di applicazione del reddito di cittadinanza, ad una revisione (l’ennesima) del contratto a termine e, infine, ad un incremento degli obblighi a carico dei datori di lavoro in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, ma al contempo la tanto attesa semplificazione degli obblighi introdotti dal Decreto Trasparenza dello scorso agosto e l’aumento della soglia dei ‘voucher'”. Così, con Adnkronos/Labitalia, Alessandra Maniglio, giuslavorista e head of employment & benefit Deloitte Legal.
“Uno spettro di misure assolutamente ampio ed eterogeneo, che affronta alcuni dei temi centrali per le imprese ed i lavoratori. I temi distintivi di una importante soluzione di continuità rispetto al passato riguardano due ambiti specifici che hanno, peraltro, fortemente caratterizzato la precedente legislatura: il reddito di cittadinanza ed il contratto a termine”, aggiunge Maniglio.
“Il superamento del precedente modello legato al reddito di cittadinanza è affidato -spiega Maniglio- alla istituzione di un sistema differenziato tra coloro che si trovano in condizione di accedere al processo di inclusione sociale e lavorativa, tramite un percorso personalizzato volto a procurare una offerta di lavoro, e coloro che, rischiando l’esclusione sociale e lavorativa, debbano essere coinvolti in un programma diverso. La nuova tutela assicurata alla prima categoria termina una volta rifiutata una proposta che garantisca una retribuzione non inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi ed una durata non inferiore ad un mese e, se part-time, un orario pari almeno al 60% dell’orario a tempo pieno: un importante cambio di rotta rispetto al passato”.
Secondo Maniglio “si punta alla concreta occupazione e la scelta è sicuramente condivisibile; la positiva attuazione di questo obbiettivo, però, si scontra con le note difficoltà del sistema di politiche attive italiano di farsi promotore di concrete offerte di lavoro. In questo ambito, un più chiaro e forte mandato in favore delle agenzie per il lavoro avrebbe consentito alla riforma di avere maggior respiro”, aggiunge.
Per Maniglio “la revisione del contratto a termine si concentra sulla modifica del sistema delle causali. L’obbiettivo è il superamento delle rigide ‘condizioni’ previste dal ‘Decreto dignità’, a favore di tre macrocategorie generali: a) esigenze individuate dai contratti collettivi (siano essi di primo o secondo livello); b) in mancanza di queste e solo sino al 31 dicembre 2024, esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva, individuate dalle parti, preventivamente certificate dalle commissioni di certificazione; c) esigenze sostitutive”, spiega ancora.
Per la giuslavorista “il modello tende a reintrodurre le causali del decreto legislativo 368 del 2001, integrate dalla contrattazione collettiva, per snellire le rigidità del Decreto Dignità. L’obiettivo di semplificare il sistema è sicuramente condivisibile, ma le modifiche non paiono idonee a perseguire pienamente lo scopo. La nuova formulazione rischia di riproporre il noto contenzioso che si era generato in applicazione del d.lgs. 368 del 2001 in presenza delle causali ‘aperte’ e che l’introduzione del contratto a termine ‘acausale’ del Jobs Act aveva cercato di superare”, aggiunge ancora. “Una nota di merito va alle semplificazioni introdotte al Decreto Trasparenza: si potrà dare parte dell’informativa richiamando altri documenti, purché messi a disposizione del lavoratore e l’obbligo di comunicazione dei controlli digitali varrà solo se si tratta di sistemi di gestione totalmente automatizzati, quindi si applica solo alle cd. piattaforme”, conclude.