“Ben pochi avvocati hanno nostalgia delle code in cancelleria per depositare atti e comparse. Nonostante i ricorrenti malfunzionamenti dei sistemi e delle piattaforme ministeriali, e i conseguenti nervosismi, il processo telematico costituisce una ormai irrinunciabile semplificazione del nostro lavoro, anche se ben poco ha contribuito all’accelerazione dei tempi della risposta di giustizia, sui quali non ha inciso in modo significativo”. Lo dice in un’intervista all’Adnkronos/Labitalia Carla Secchieri, consigliera nazionale Consiglio nazionale forense.
“Ma – avverte – digitalizzare la giustizia e la professione non significa solamente passare dalla carta al file, dal deposito degli atti cartaceo a quello telematico. Significa anche un diverso modo di interagire con i clienti, ricorrendo a quegli strumenti (videoconferenze, mail, pec) che a seguito della pandemia sono diventati ormai di uso corrente e, grazie ai gestionali, ormai presenti in quasi tutti gli studi, una migliore organizzazione delle attività, consentendo di dedicare più tempo allo studio della pratica”.
“Il progressivo e inarrestabile sviluppo delle nuove tecnologie – ricorda – è entrato in modo prepotente anche negli studi legali e minaccia di modificare radicalmente il modo di esercitare la professione, già oggetto di profondi cambiamenti, suscitando infondate paure in chi non ne comprende appieno le potenzialità, ed esagerati entusiasmi in chi invece ritiene che possa essere la panacea della crisi che indubbiamente sta attanagliando l’avvocatura”.
“Come sempre – sottolinea – la verità sta nel mezzo: occorre prendere coscienza degli indubbi vantaggi che la tecnologia può portare alla nostra professione, senza pregiudizi o rifiuti aprioristici, ma con consapevolezza, e quindi con un’adeguata formazione, ma anche con la coscienza che, se pure cambierà o potrà cambiare il modo di svolgere la professione, non per questo la nostra funzione di difensori dei diritti dei cittadini potrà venire meno”.
“L’utilizzo del cloud – precisa la consigliera nazionale Carla Secchieri -consente di poter lavorare ovunque: è sufficiente una buona connessione internet rendendo di fatto non più necessaria la presenza costante in studio. L’introduzione, anche se poco utilizzata, e per il vero molto contrastata, dell’udienza a distanza, come rimedio all’impossibilità di accedere ai tribunali, ha consentito di evitare la paralisi dei processi, e potrebbe essere sapientemente utilizzata, con le già note eccezioni delle udienze che richiedono la presenza di testimoni e/o delle parti, nei procedimenti civili, per evitare gravose trasferte, consentendo quindi di conservare l’indispensabile rapporto personale con il magistrato, del tutto assente, invece, nelle udienze di trattazione scritta”.
“Se però – avverte – molti sono gli strumenti che possono aiutare gli avvocati nello svolgimento quotidiano del lavoro, essi devono essere usati con una adeguata formazione, evitando fughe in avanti, e avendo la consapevolezza che la sicurezza informatica deve essere al più alto grado possibile, al fine di prevenire perdite di dati nostri e dei clienti, che possono avere conseguenze nefaste per reputazione dell’avvocato e, perché no, anche sul suo portafoglio. Solo così gli investimenti nella digitalizzazione dello studio potranno avere un ritorno in termini di efficienza, di reputazione e di nuova clientela”.
“L’intelligenza artificiale applicata agli studi legali potrebbe ridurre attività ripetitive, come le analisi delle clausole contrattuali, lo studio di precedenti giudiziali, la compliance. Allo stato, però, i sistemi a disposizione sono scarsamente diffusi e implementati: i costi elevati, i pochi dati a disposizione per poter allenare un algoritmo, le difficoltà linguistiche rendono poco produttivo l’investimento. Ma è bene essere consapevoli che il progresso corre e l’avvocato dovrà essere preparato”, dice.
“Un discorso a parte – spiega – va fatto per i sistemi di intelligenza artificiale tanto per la giustizia in generale, che per gli studi legali in particolare. Allora è bene fare una premessa: intelligenza artificiale e giustizia predittiva, che spesso sono usati indifferentemente, non sono sinonimi, ma la seconda costituisce una delle tante applicazioni della prima”.
“La giustizia predittiva, intesa come anticipazione del giudizio ad opera di un algoritmo, che sostituirà il giudice o l’avvocato nelle cause, allo stato – avverte – è solo un’ipotesi remota, patrimonio solo di sofisticati e complicati studi più tecnologici che giuridici, e la cui applicazione incorre in giustificatissimi limiti e divieti in sede europea, per i rischi che comporta”.
“L’intelligenza artificiale applicata all’organizzazione – afferma – è, invece, una ipotesi meno esplorata, e tuttavia merita la più ampia considerazione: chat-bot che sostituiscono inutili attese al telefono con le cancellerie, razionalizzazione delle assegnazioni delle cause ai giudici, utilizzo del dati presenti nei registri di cancelleria per analisi non più solo quantitative ma anche qualitative, che consentano di intervenire laddove il sistema è più debole, sono sicuramente strumenti per una maggiore efficienza”.
“Le università – auspica – dovranno, quindi, fare la loro parte e introdurre nei piani di studio anche corsi di informatica giuridica. La tecnologia, quindi, non potrà mai sostituire l’avvocato, ma solo colui che saprà aggiungere alle proprie competenze giuridiche anche conoscenze tecnologiche potrà veramente essere l’avvocato del domani”.