Se, a differenza di altri casi, la digitalizzazione del processo tributario era tata avviata ben prima dell’irruzione del Covid, c’è qualcosa però che sembra stenti ancora a decollare, nel contesto di ‘processi 2.0’: l’udienza a distanza, vale a dire una udienza in cui almeno uno dei giudici o almeno una parte processuale, sia collegato da remoto. Questa modalità, mediata da una videoconferenza non sembra aver conquistato troppo il favore dei giudici. Emerge dal dossier curato dal Csel, Centro studi enti locali per Adnkronos.
I dati in possesso del dipartimento delle Finanze mostrano, infatti, che nel primo trimestre 2021 meno del 20% delle controversie si è svolto in questo modo. Nel trimestre successivo la percentuale si è innalzata, toccando il 27%, pari a 19.388. Fermi restando gli indiscussi vantaggi di questa modalità di condurre le udienze, sia in termini anti-contagio che di impatto ambientale, va detto che in 181 casi (53 tra gennaio e marzo e 128 tra aprile e giugno) problemi legati al mancato o insufficiente collegamento hanno costretto al rinvio.
L’area geografica che registra la maggiore percentuale di udienze svolte da remoto è il Nord-Est, che nel secondo trimestre 2021 ha toccato quota 53,3%, seguito dal Nord-Ovest (32,9%), dal Centro (31,6%), dal Sud (25,6%), e dalle Isole (13,5%). In tutte le aree geografiche si registra un incremento dell’incidenza delle udienze da remoto, anche se il Centro è l’area geografica in cui si registra il maggior aumento (pari a +12,76 punti percentuali), mentre il Sud registra l’incremento minore (pari a +5,39 punti percentuali).