“Da archivista, dico che uno dei problemi principali da affrontare, sin dal momento in cui si produce il documento informatico, è quello di immaginare un sistema di gestione del flusso della documentazione e della futura conservazione di questi documenti nel tempo”. Così, con Adnkronos/Labitalia, Micaela Procaccia, presidente dell’Associazione nazionale archivistica italiana, interviene sulla dematerializzazione e la digitalizzazione dei documenti nelle pubbliche amministrazioni nel nostro Paese. “Oggi nelle amministrazioni -sottolinea Procaccia- o si conserva tutto o si butta tutto. Invece esiste una procedura storicamente codificata che è quella di individuare quella documentazione che sarà a conservazione permanente e che diventerà storica, e che cioè servirà in futuro agli storici per ricostruire le situazioni”, spiega.
In particolare, l’esperta chiarisce che “l’archivio corrente è quello che un’amministrazione usa normalmente, l’archivio di deposito è quello che non serve più tanto ma potrebbe servire, quello storico è fatto da quella documentazione a conservazione a lungo periodo, illimitato, che sarà documentazione storica del futuro che verrà conservato a uso degli storici”. “Tutto ciò – precisa – esiste per il cartaceo, anche se spesso disatteso. Per il digitale dovrà essere pensato, perché quando diciamo a lungo termine parliamo di una cosa tecnologicamente complessa e che richiede un’organizzazione ferrea e rigorosa che governa tutti i passaggi e che garantisca che quel file sia leggibile e che sia autentico, perché i documenti della Pa hanno valore giuridico”.
Per l’esperta, quindi, “si tratta quindi di mettere in piedi un’organizzazione complessa e una serie di accortezze tecnologiche non semplici che vanno pensate subito e ancora prima di produrre i documenti”. Questo perché, ricorda l’archivista, “la produzione dei documenti, nel momento in cui avviene, avvia una sedimentazione che è l’archivio corrente di una qualsiasi amministrazione ma anche di un privato, visto che tutti producono documenti, ed è un primo problema da affrontare”.
L’esigenza primaria deve essere l’organizzazione. “Tutto deve essere organizzato, perché non è che perché un documento è digitale non si deve caratterizzare per una descrizione che mi faccia capire che quello è il mio certificato di nascita e non di altri, o che identifichi la mia cartella clinica o quella di qualcun altro. Ci sono una serie di procedure a monte da stabilire, come accade per la documentazione cartacea anche se non sempre sono rispettate, e ancora di più deve essere seguita per i documenti digitali. Questo perché una confusione sui documenti di carta si recupera, una confusione sui documenti digitali è più difficile operare. Un ammasso di carte si riordina, una serie di file vaganti nel nulla sono più complicati da mettere in ordine”, conclude.
Secondo Procaccia, “il problema della dematerializzazione è che si parte molto spesso da un archivio cartaceo disordinato, quindi il primo passo è riordinare il cartaceo perché altrimenti la dematerializzazione è fatta male”. “L’importante è partire bene, quindi non scansionando il mucchio di carte che sta in cantina – avverte – ma partire riordinando il mucchio di carte e scansionandolo successivamente. Una procedura complicata che richiede professionisti che riordinano, che digitalizzano, che a monte hanno pensato il sistema di conservazione dei documenti. Non è ‘scansioni e vai'”.
Oggi, sottolinea l’esperta, “gli archivi di Stato bene o male funzionano, anche se c’è sempre più carenza di personale”. “Il problema – aggiunge – è su altri archivi pubblici. Laddove si sceglie di investire, come a volte accade, le cose possono funzionare. Se non si investe, non si va da nessuna parte, qualunque sia il supporto. In questo caso, siamo in una situazione molto primitiva in Italia”. “Oggi convivono archivi ibridi, un po’ cartacei, un po’ digitali, un po’ di base dati alla cui conservazione non pensa nessuno, che non è progettata da nessuno. Tutti sono passati al protocollo informatico, ma vorrei sapere quanti si sono preoccupati di conservare il protocollo informatico. Io non lo so, ma temo non moltissimi”, conclude amara Procaccia.