(Adnkronos) – “Lo Stato è terzo per definizione. Se i rilievi sono quelli riportati, mi pare non si colga la sostanza del nostro ordinamento che, peraltro, con la legge 84/94, si è conformato a una sentenza della Corte di Giustizia: il nostro sistema è certamente in linea col diritto europeo. Le Autorità di sistema portuale sono istituzionalmente ‘authorities’ terze rispetto alle imprese che operano nei porti. Non sono quindi paragonabili né alle società di gestione aeroportuale né alle autorità portuali di altri ordinamenti, non svolgono operazioni portuali né offrono servizi, ma sono gli enti regolatori che assicurano in modo imparziale e come autorità dello Stato l’utilizzo più proficuo del demanio portuale nell’interesse pubblico”. Così, con Adnkronos/Labitalia, Francesco Munari, ordinario di diritto dell’Unione Europea dell’università di Genova e partner di Deloitte Legal, commenta il fatto che la direzione generale competition della Commissione Europea non avrebbe apprezzato il cosiddetto ‘regolamento concessioni’, redatto a dicembre dal Governo italiano.
Munari, fra i difensori delle Autorità di Sistema Portuale nella querelle con la Commissione sulla tassazione dei porti, sottolinea che “l’ordinamento italiano prevede strumenti di contendibilità efficaci, che occorre ricordare”.
“L’istituto della revoca previsto dal nostro sistema concessorio -spiega Munari- consente infatti allo Stato di intervenire quando un interesse pubblico superiore sopravvenga rispetto ad un determinato assetto concessorio; l’istituto della decadenza dalla concessione opera invece quando un concessionario non dovesse adempiere agli impegni che si è assunto nel momento in cui ha chiesto e ottenuto la concessione, tra l’altro nell’ambito di procedure trasparenti e pubbliche alle quali possono partecipare tutti gli interessati, i quali possono anche candidarsi a loro volta a gestire il medesimo compendio demaniale”, aggiunge ancora.
“Tra l’altro, nel nostro ordinamento -continua Munari- non è affatto impedito a terzi eventualmente interessati di segnalare all’Autorità il cattivo uso del demanio fatto da un concessionario portuale, e di rivolgersi a un giudice nel caso in cui la risposta dell’amministrazione non sia appagante, e vi sia quindi il rischio che il concessionario incumbent non massimizzi la funzione di un asset portuale. Sotto questo profilo, mi pare opportuno non equivocare tra le concessioni di servizi e quelle demaniali: nelle seconde lo Stato riceve un ‘servizio pubblico’, nelle prime assegna un bene strategico per l’economia del Paese, su cui mantiene costantemente il controllo e il potere di riprendersi questo asset. Detto questo, le operazioni portuali non possono essere scambiate come attività “temporanee'”, aggiunge ancora.
È per questo che il confronto più aspro appare quello sulla durata delle concessioni: “Al netto del fatto che a quel che mi consta non esistono tetti nei principali altri paesi portuali europei, la predeterminazione di una durata massima della concessione -spiega Munari- incide direttamente sulla qualità e la quantità degli investimenti, in un momento storico nel quale, tra l’altro, il contributo degli investimenti privati è fondamentale. La durata è funzione dell’investimento proposto dal privato, e la fissazione di un limite massimo di durata finisce per scoraggiare gli investitori. Questo regime è connaturato alla funzione del demanio fin dai tempi del Codice della Navigazione prima ancora della legge portuale”.
Per l’esperto “imporre un cap alla durata delle concessioni non apporta nulla in termini di concorrenza, e rischia di avere quale unico effetto quello di rendere meno appetibili gli investimenti nei porti italiani, i cui operatori, non dimentichiamolo, operano in un mercato internazionale ed europeo fortemente concorrenziale, e sono quindi incentivati a svolgere al meglio la propria attività. Non esiste alcun settore nel quale le imprese sono ‘a tempo determinato’. Specie in settori come questo che sono fortemente capital intensive”, aggiunge.
E per Munari ora “L’Italia deve perseverare con pazienza e tenacia a spiegare le proprie ragioni. L’impianto normativo e regolatorio è perfettamente in linea col diritto Ue; inoltre, mi pare che le imprese operanti nei nostri porti siano nel complesso dinamiche ed efficaci, e che non vi siano né ‘pietrificazioni’ del sistema da rimuovere, né tanto meno forme di collusione tra AdSP e imprese: abbiamo la forza degli argomenti e di un ordinamento che è stato forgiato proprio sotto l’impulso delle istituzioni europee. Sono convinto che l’Italia debba tenere il punto, per il bene del settore, e per non pregiudicare qualsiasi ulteriore iniziativa di riordino che necessariamente richiede una visione di insieme, e non essere motivata da contingenze”, conclude.