Se i professionisti possono dare un contributo importante, in termini di competenze e affidabilità, alla pubblica amministrazione, è necessario attribuire loro il giusto compenso. Un principio trasversale, quest’ultimo, che dovrebbe applicarsi a tutti i rapporti intrattenuti con i professionisti. Ma non è così per il Consiglio di Stato, che con la sentenza n.07442/2021 pubblicata ieri, ha stabilito che la pubblica amministrazione può emettere bandi senza necessariamente prevedere una paga per il professionista. La decisione di Palazzo Spada pone fine, in realtà, alla vicenda inerente al bando del Mef del marzo 2019 per il conferimento di incarichi di consulenza altamente qualificata a titolo gratuito. E’ quanto si legge in una nota di ProfessionItaliane, l’associazione che racchiude al proprio interno le rappresentanze professionali del Comitato unitario delle professioni e della rete delle professioni tecniche.
Il Consiglio di Stato, sebbene annulli l’avviso pubblico per una mancanza di criteri di trasparenza nel processo di selezione dei professionisti, riconosce che lo stesso non violi la norma sull’equo compenso, perché non è stato pattuito un indennizzo al momento del conferimento dell’incarico. “Una decisione di questo tipo è inammissibile per i professionisti”, hanno sottolineato Armando Zambrano e Marina Calderone, rispettivamente presidente e vicepresidente di ProfessionItaliane.
“Viene calpestata ancora una volta la dignità dei professionisti che, invece, la Costituzione ha inteso proteggere con l’articolo 36. Consentendo l’applicazione dell’equo compenso solo in alcuni casi, si sceglie di mettere ancora una volta in difficoltà i lavoratori autonomi e di creare una netta distinzione fra professionisti tutelati e altri no”, spiegano ancora.
“Non è giusto -continua l’associazione – sostenere che possano esservi dei lavoratori a cui venga richiesto di prestare la propria opera gratuitamente, perché tutti hanno diritto di trarre dal proprio lavoro i mezzi per il sostentamento per sé e per la propria famiglia, soprattutto in questo periodo in cui si risente degli effetti della pandemia. Ribadiamo, dunque, la nostra contrarietà a qualsiasi forma di quantificazione a zero delle competenze professionali e la necessità di dare maggiore valore ad un principio di civiltà come quello dell’equo compenso, facendo applicare in modo più stringente la norma da parte delle pubbliche amministrazioni”.
Elevare il principio di adeguatezza fra corrispettivo e qualità e quantità del lavoro svolto a “diritto” del professionista nei confronti di tutti i committenti così come arrivare, entro fine Legislatura, ad una disciplina più inclusiva della norma, con un’estensione ampia a tutte le realtà economiche, sono i due moniti lanciati in questi mesi da ProfessionItaliane.
Ad oggi, infatti, il dibattito parlamentare sul ddl sull’equo compenso, interrotto dalla Ragioneria dello Stato, è fermo alla previsione che questo si possa applicare solo alle imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.