(Adnkronos) – “La Cgil e il salario minimo: storia di una metamorfosi. Da una opinione storica di scetticismo sulla misura, in pochi mesi la principale organizzazione sindacale italiana è passata ad una netta presa di posizione a suo favore. Certo, il cambiamento di contesto politico e sociale probabilmente ha facilitato il salto di paradigma lasciando, tuttavia, radicate perplessità in molti leader storici del sindacato guidato da Maurizio Landini. La Cgil si è schierata in prima fila, rompendo anche l’unità sindacale con la Cisl, fra coloro che ritengono giusto e necessario l’intervento legislativo del quale tenta di disegnarne i contorni e i confini. Una virata che suscita più di una perplessità che definirei oggettive. Tra queste ve n’è una più di tutte”. Così, con Adnkronos/Labitalia, Francesco Rotondi, giuslavorista e consigliere esperto del Cnel.
“Sul piano storico, giuridico, costituzionale e democratico nel nostro Paese e, quindi, nel nostro ordinamento, la determinazione, la regolamentazione, la traduzione operativa di una serie di principi – generali e non – l’elaborazione di una serie determinante di politiche sociali, è stata demandata e delegata alle parti sociali -sottolinea il che la esprimono attraverso la contrattazione collettiva. Tra le funzioni della contrattazione c’è anche lo scopo di realizzare una ‘retribuzione equa e sufficiente’ così come recita l’articolo 36 della nostra Costituzione”.
“L’applicazione del principio Costituzionale sopra richiamato, negli anni ha suscitato molteplici dibattiti sulla sua effettiva realizzazione e sui significati applicativi, ma certamente ha fatto in modo che i contratti collettivi nazionali (e successivamente anche quelli decentrati) esprimessero il concetto di ‘salario minimo’ applicabile attraverso la contrattazione tra le parti sociali”, sottolinea ancora Rotondi.
“Il sindacato -prosegue il consigliere esperto del Cnel- non ha mai abdicato ad un ruolo ad esso attribuito, tra l’altro di questa portata sociale. Anzi, ha cercato spesso di rivendicare spazi e funzioni ritenuti propri. Di certo non ha mai pensato di rimettere nelle mani del legislatore materie ad esso attribuite. Perché la Cgil ha deciso di abdicare al suo ruolo storico? La questione si fa ancora più ‘atipica’ e complicata poiché questo ruolo è stato svolto senza apparenti problemi e tensioni per oltre 70 anni. Non solo, ma più volte il richiamo alle parti sociali ed ai contratti collettivi è stato un monito per legislatori bramosi di ‘normare’ ogni cosa”, continua. “Ma allora -si chiede Rotondi- come mai sul salario minimo la Cgil fa affermazioni distoniche come: ‘i minimi tabellari non rappresentano il salario minimo ex art. 36 Cost.’, oppure, ‘l’ora lavoro non può essere retribuita meno di 9 euro’? Sarebbe come dire che la Cgil ha finto di credere in un sistema in cui non credeva fino in fondo. Che milioni di lavoratori hanno affidato i loro interessi e diritti nelle mani di chi “non pensava” di poterli tutelare”.
“È una dichiarazione di resa? La funzione del sindacato non è più in grado, tramite la contrattazione sociale, di raggiungere gli obiettivi di civiltà dichiarati? E quei contratti collettivi nazionali sottoscritti anche dalla Cgil che prevedono minimi inferiori a 9 euro l’ora, come li spieghiamo? Come si giustificano nei confronti dei lavoratori ai quali sono stati (giustamente) applicati quei valori? È il solito imprenditore cattivo? Chi risarcisce questi decenni che non sembrano riconoscere il ruolo importantissimo che invece il sindacato ha svolto su tutto il ‘diritto e mercato del lavoro’?”, si chiede Rotondi.
Secondo il giuslavorista “forse per tentare una spiegazione all’abdicazione della Cgil sarebbe più semplice puntare il dito su ciò che è evidentemente una forzatura, ma credo che il sindacato guidato da Landini nella vicenda del salario minimo per legge sia vittima e carnefice. Vittima della mancanza totale di una certa ‘politica’ che dovrebbe occuparsi di ben altro e mettere nelle condizioni le parti sociali di poter bene operare negli spazi di propria competenza. Carnefice, quando pensa di occupare e spalleggiare posizioni politiche a sostegno soprattutto di chi oggi non è certo il lavoratore”.