Tridico (Inps): “Da blocco licenziamenti 330mila posti di lavoro preservati”

“I posti di lavoro preservati con il blocco dei licenziamenti nel periodo marzo 2020-febbraio 2021, rispetto alla fisiologia del mercato del lavoro come documentata dai dati statistici disponibili, possono essere valutati in circa 330.000 e per oltre due terzi riconducibili alle piccole imprese (fino a 15 dipendenti). Si tratterà ora di vedere come evolverà tale saldo al seguito della rimozione del blocco dei licenziamenti”. A dirlo il presidente dell’Inps Pasquale Tridico nella Relazione annuale del XX Rapporto Annuale dell’Istituto. 

“Va tenuto conto che – spiega – negli anni precedenti la pandemia i licenziamenti di natura economica superavano il mezzo milione all’anno, a fronte tuttavia di una dinamica positiva di assunzioni. Nel complesso, considerando tutte le tipologie contrattuali, a fine febbraio 2021 i posti di lavoro dipendente presso le aziende private risultavano diminuiti di 37.000 unità rispetto allo stesso momento dell’anno precedente”. 

“Quando si passi a considerare – avverte – il volume complessivo degli assicurati Inps, che rappresenta un indicatore indiretto della totalità dei lavoratori regolari, esso non è diminuito nel 2020, attestandosi a 25.546 milioni, valore praticamente identico a quello del 2019. Guardando invece il numero medio di settimane di effettivo lavoro, il risultato è ben diverso: dal valore medio di 42,9 settimane nel 2019 si è scesi a 40,1 nel 2020. E ciò corrisponde ad una contrazione dell’input di lavoro pari al -6,5%, in linea con gli altri indicatori del mercato del lavoro”. 

“Da qualunque prospettiva si analizzi, il 2020 è caratterizzato da una brusca caduta del fabbisogno di lavoro: ad una riduzione dell’occupazione del 2,8% si affianca un calo delle unità di lavoro del 7,1% e delle ore lavorate del 7,7%, a suggerire una riduzione del contributo lavorativo in una platea di lavoratori molto ampia. Una parte relativamente ridotta, anche a seguito del blocco dei licenziamenti, ha perso il lavoro, ad un’altra non è stato rinnovato il contratto a termine, e molti hanno lavorato e guadagnato meno”. 

“Nell’allegato al Rapporto Inps, che contiene una sintesi delle ricerche effettuate all’interno del programma VisitInps, si quantifica la presenza dei poveri da lavoro, i working poor, identificati come coloro che nell’anno hanno un reddito da lavoro non nullo, ma guadagnano meno del 60% del reddito mediano. La percentuale di poveri da lavoro osservati negli archivi Inps, cumulando le diverse prestazioni, è pari al 26% nel 1990 e sale al 32,4% nel 2017”. 

“Una delle differenze fondamentali – spiega – che risalta andando a guardare il primo e l’ultimo anno considerati nell’analisi, 1990 e 2017, è quella riguardante il numero di lavori svolti dal singolo lavoratore: se nel 1990 quasi l’87% dei lavoratori svolgeva un unico lavoro durante l’anno, nel 2017 questa percentuale si abbassa al 79%, denotando anche un aumento della frammentazione lavorativa negli ultimi trent’anni in Italia”.  

“Analogamente – avverte – va sempre più allargandosi l’area del lavoro atipico, dove l’attività di vigilanza ispettiva è viepiù complessa. Lo sviluppo delle tecnologie digitali avvenuto negli ultimi anni, accompagnato dalla diffusione di massa di apparecchi di telefonia mobile smart, ha portato alla nascita e alla rapida crescita di una nuova tipologia di servizi online. In particolare, è sempre più frequente che piattaforme digitali, accessibili dagli utenti finali anche tramite i loro smartphone, coordinino attività lavorative rese da una pluralità di soggetti/persone fisiche che operano fornendo un servizio a quegli utenti finali. L’effetto sostanziale è di mettere in contatto domanda e offerta di beni e servizi”. 

“Le misure del sostegno a reddito sono fondamentali ed hanno avuto un ruolo ancor più importante in un anno complesso e drammatico come il 2020. A tali misure viene dedicato il terzo capitolo del Rapporto annuale, ed in particolare il reddito/pensione di cittadinanza, con attenzione ai profili dei beneficiari e agli impatti in termini di equità tra potenziali beneficiari. Questa misura di contrasto alla povertà, seppur introdotta prima della crisi pandemica, si è rivelata di particolare efficacia per affrontare l’aggravarsi del disagio economico dei soggetti più deboli esposti alla crisi”. 

“L’analisi – ricorda – mostra che i due terzi dei 3,7 milioni di beneficiari nel 2020, di cui un quarto minori, non risultano presenti negli archivi Inps degli estratti conto contributivi negli anni 2018 e 2019, e sono quindi distanti dal mercato del lavoro e forse non immediatamente rioccupabili; il restante terzo che invece risulta presente, rivela in media un reddito pari al 12% delle retribuzioni annue prevalenti tra i lavoratori del settore privato in Italia, e solo il 20% ha lavorato per più di 3 mesi nel corso del periodo precedente all’introduzione del sussidio. Ne emerge quindi un quadro di effettiva esclusione sociale per gli individui coinvolti dalle misure”. 

“In riferimento alla distribuzione geografica dei beneficiari di rdc/pdc – continua – è noto che essi non sono distribuiti uniformemente sul territorio nazionale, ma sono soprattutto concentrati nelle regioni meridionali e nelle isole. Non si tratta di un dato particolarmente sorprendente dato che queste regioni sono caratterizzate da bassa occupazione e forte incidenza della povertà. Tuttavia, utilizzando dati1985 a 0,72 nel 2018; la disuguaglianza salariale risulta quasi raddoppiata, con una varianza da 0,24 nel 1985 a 0,44 nel 2018. Colpisce maggiormente che tale incremento avviene per un terzo all’interno delle aziende indipendentemente da settore o dimensione aziendale”. 

“Negli ultimi cinque anni il numero di ispettori Inps si è ridotto da circa 1.250 a meno di 1.000 senza possibilità di rimpiazzo. Contestualmente, la capacità di riscossione contributiva è diminuita da oltre 1 miliardo a circa 800 milioni annui. Rinnovo dunque la richiesta al legislatore di ridare all’Inps la facoltà di reclutamento di propri ispettori, che hanno specifica competenza sulla parte contributiva, modificando il decreto legislativo 149/2015”.
 

(Adnkronos)