(Adnkronos) – La corsa al rialzo del costo dei panettoni o pandori ‘firmati’, artigianali, gourmet o a produzione limitata non è ancora arrivata al traguardo, tra prezzi che oscillano tra i 35 e gli 80 euro. E come ogni anno a Natale tornano le discussioni tra amici e in famiglia su quali marche o firme scegliere per i giorni di festa. “Da una parte ci sono i prodotti artigianali e gourmet, attestati oramai – e ogni anno di più – su costi elevati che, tuttavia, riflettono l’uso di ingredienti di alta qualità, come burro pregiato, uova fresche e lievitazione naturale, oltre al lavoro manuale in grado di esaltare, di tali prodotti, il sapore e la consistenza. Tutto ciò, naturalmente, giustifica prezzi non propriamente popolari. Dall’altra parte ci sono i prodotti industriali a basso costo, disponibili anche a 5 euro o meno, che puntano sulla grande distribuzione per attrarre un pubblico più vasto, ma che, contrariamente ai primi, potrebbero essere stati composti con margarina, aromi artificiali e conservanti, così risultando meno appetitosi, ma, soprattutto, meno salutari. E, d’altro canto, il panettone, espressione storica della famiglia dei ‘grandi lievitati’, non è un dolce semplice né veloce, ma richiede esperienza, manualità e un occhio più che esperto nel capire tutte le fasi della lievitazione”. Così all’Adnkronos Salute Mauro Minelli, docente di nutrizione umana e nutraceutica alla Lum.
“La soluzione, come sempre, sta nell’equilibrio: bilanciare tradizione, qualità, salute e sostenibilità senza lasciare che il prezzo diventi, del valore, l’indicatore e il decisore unico”, avverte Minelli. “I migliori panettoni artigianali – spiega – vengono lievitati grazie al lievito madre, un lievito vivo, che va nutrito, curato, accudito. E’ da quel lievito che dipende l’intera riuscita del panettone. Essendo un dolce a doppio impasto, prima si impasta lievito madre, farina e acqua, e poi si aggiungono poco alla volta zucchero, burro e tuorli d’uovo. E se l’impasto non ha formato una buona maglia glutinica, non riesce ad assorbire burro e uova, rimanendo slegato. Seguiranno due lievitazioni di 12 e di 7 ore con aggiunte progressive di miele, uvetta sultanina, cubetti di arancia candita, cedro candito, scorza di limone e di arancia, e successiva cottura che porterà poi al prodotto finito. E’ così che nasce un panettone non industriale”.
“Certo – precisa l’esperto – non si può escludere che un prezzo elevato possa non garantire sempre e ad ogni costo una qualità superiore, poiché il marketing può far aumentare i costi anche senza grandi differenze rispetto a prodotti più accessibili. Ma un dolce artigianale, in linea di massima, si lascia facilmente riconoscere per la complessiva qualità del manufatto e per la cura nella lavorazione, caratteristiche che difficilmente un prodotto industriale, per quanto ben fatto, potrà eguagliare. Come dire, in altri termini, che se il prodotto industriale può rappresentare un’opzione economica e accessibile, non può nel contempo offrire lo stesso valore in termini di gusto, autenticità e attenzione alla salute, elementi che generalmente caratterizzano i prodotti di pregio”.
“La domanda che da queste considerazioni può scaturire – prosegue Minelli – è se dobbiamo per forza riferirci, pur a fronte di oggettivi impedimenti economici, al canonico panettone e pandoro, o se invece non possiamo aprirci ad altre prospettive, magari perfino guadagnandoci in termini di originalità e di estro creativo. Siamo, davvero, così legati al panettone o al pandoro tanto da considerarli uniche espressioni riconoscibili delle tradizioni dolciarie di fine d’anno? O potremmo anche optare per dolci alternativi, magari legati alla stagionalità degli ingredienti o alle culture locali, concentrandoci su ciò che è davvero vantaggioso per noi e per la nostra salute ed evitando di sostenere e alimentare la ‘battaglia’ dei prezzi di anno in anno sempre più pesante?”.
Secondo lo specialista, “il problema è culturale, indubbiamente, ma un compromesso, nel momento in cui proprio non si riesca a fare a meno del dolce natalizio più convenzionale, potrebbe essere quello di cercare produttori in grado di fornire all’utenza un buon equilibrio tra qualità e prezzo, semmai valorizzando realtà produttive locali che non rincarino eccessivamente il prezzo finale magari solo per il peso di un brand griffato”.
“Un’ulteriore soluzione del dolce dilemma di fine d’anno – suggerisce l’esperto – potrebbe banalmente derivare dalla semplice riflessione sul tema ‘quantità-qualità’: è proprio necessario produrre quantità smisurate di panettoni e pandoro industriali che dovranno fare bella mostra di sé su scaffali strapieni fino all’inverosimile e che poi saranno puntualmente svenduti a prezzi stracciati dal 7 gennaio in poi? Non sarebbe più logico optare, ad esempio, per una produzione più responsabile, evitando eccessi e abbattendo i costi nascosti (e ambientali) della sovrapproduzione? Si chiama consumo consapevole e si basa sulla riduzione degli sprechi alimentari, temi cruciali – conclude Minelli – in un periodo di festa, ma anche di grande sperpero”.