(Adnkronos) – Ci sono delle ‘falle’ nel testo sull’autonomia differenziata, “rilevanti criticità sull’equità di accesso ai servizi e ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale con effetti diretti sull’unità del Paese”. Così Tonino Aceti, presidente Salutequità, commentando il disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni, approvato in questi giorni al Consiglio dei ministri e che “da dicembre ad oggi ha visto almeno 4 versioni diverse”. Aceti fa l’elenco delle “falle più macroscopiche” rilevate in una prima analisi tecnica del testo, “per metterla a disposizione del Parlamento, chiamato a esprimersi sul Ddl, delle altre istituzioni e degli stakeholder”.
Preliminarmente – scrive il presidente di Slautequità – salta agli occhi come le parole “equità, uguaglianza, disuguaglianze, controllo, verifica, coinvolgimento, partecipazione, concertazione” non siano mai citate nel testo del Ddl. Ritroviamo invece solo una volta la parola “unità”, due volte la parola “monitoraggio”, tre volte la parola “solidarietà”. Secondo quanto specificato all’art. 1 e 4, “l’autonomia differenziata – continua Aceti – viene consentita dopo soltanto la determinazione e il finanziamento dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e non è subordinata, come invece dovrebbe essere, ad esempio alla individuazione di criteri di riparto del finanziamento dei Lep che guardino all’equità e alle caratteristiche specifiche delle Regioni; alla definizione e all’approvazione di un sistema di garanzia dei Lep all’altezza, che permetta di verificare concretamente, tempestivamente e puntualmente la loro effettiva ed equa erogazione nelle regioni; alla verifica positiva della garanzia dei Lep; alla definizione, al finanziamento, all’approvazione e alla verifica degli standard nazionali di personale, tecnologici, organizzativi e infrastrutturali che dovranno concretamente sostenere i Lep. Se non si vuole lasciare i Lep sulla carta – precisa – i relativi standard sono ineludibili. In sanità, dove i Lea (Livelli essenziali di assistenza) sono stati introdotti già dal 2001, si è deciso di iniziare a lavorare (e c’è ancora moltissimo da fare) alla definizione di ulteriori ‘paletti’ solo recentemente e, nonostante questo, le disuguaglianze galoppano”.
Sulla determinazione dei Lep, nella relazione illustrativa del Ddl “non c’è traccia invece di una ricognizione sui bisogni essenziali e insoddisfatti dei cittadini da garantire mediante i Lep. In questo modo, di fatto – osserva Aceti – i Lep rischiano di ridursi solo a un elenco più ordinato di ciò che già viene erogato e preferibilmente compatibile con le attuali risorse”.
Un’altra falla rilevata riguarda il meccanismo “pesante e rigido di approvazione e revisione dei Lep. L’art. 3 del Ddl – nota ancora Aceti – prevede almeno 8 passaggi per arrivare alla determinazione dei Lep (senza considerare la pubblicazione in Gazzette ufficiale). Un meccanismo lungo e impegnativo, che non prevede il coinvolgimento degli stakeholder (parti sociali, associazioni di cittadini e pazienti, eccetera) e che non individua tempistiche (certe e perentorie) di revisione. Anche in questo caso la sanità fa scuola. Guardando infatti ai nuovi Lea del 2017, questi risultano a distanza di oltre 5 anni ancora di fatto inattuati a causa della mancata adozione del decreto tariffe”.
Ma c’è di più, prosegue il presidente di Salutequità: “La verifica della garanzia non è un ‘optional’ come invece previsto dall’art 7 in cui si legge che ‘il ministero dell’Economia o la Regione possano (e non debbano) disporre verifiche su specifici profili o settori di attività’. Secondo Aceti è “come dire: autorizzo la Regione a guidare una macchina veloce senza aver preventivamente verificato se è in grado di guidarla e, se va a sbattere, non necessariamente ci saranno sanzioni proporzionate e nessuno le ritirerà mai la patente. A venir meno è proprio il ruolo di garanzia del livello centrale”.
Un’altra criticità è il rafforzamento delle Regioni e non dello Stato. “Non è previsto alcun tipo di rafforzamento del ruolo del livello centrale di coordinamento, monitoraggio, valutazione e di garanzia del rispetto dei Lep”, ricorda Aceti che richiama l’attenzione anche sul ruolo “residuale” del Parlamento che “ha 60 giorni di tempo per esprimersi con atto di indirizzo sullo schema di intesa preliminare di autonomia differenziata, ma non è chiaro se e quanto sia vincolante”. Infine, conclude, nel Ddl “non vi è traccia di alcun impegno concreto per un programma straordinario di livellamento infrastrutturale delle Regioni in grado di mettere sullo stesso piano tutte le Regioni in tutti i settori delle politiche pubbliche”.