Farmaci, Nomisma: “Costi di produzione dei generici lievitati del 21% nel 2022”

(Adnkronos) – A parità di merce prodotta, di materiali e risorse utilizzate, nel 2022 i costi totali di produzione dei medicinali generici in Italia sono cresciuti rispetto al 2021 del 21%, per una cifra pari a circa 937 milioni di euro. In particolare, il costo di principi attivi ed eccipienti risulta in crescita del 26,5%, quello dei trasporti del 100% (il prezzo di noleggio di un container ha subito un incremento del 131% tra il primo semestre 2020 e il primo semestre 2022), quello dell’energia del 300%. Questo dopo un triennio 2019-2021 nel corso del quale le aziende hanno dovuto assorbire importanti pressioni di prezzo lungo la catena di approvvigionamento. E’ quanto emerge dall’Osservatorio Nomisma sul ‘Sistema dei farmaci generici in Italia’, la cui edizione 2022 è stata presentata oggi a Roma presso l’Ara Pacis, con la partecipazione di rappresentanti del mondo istituzionale, del panorama industriale e degli operatori del mondo sanitario.  

L’indagine realizzata da Nomisma ha coinvolto, a partire da marzo 2022, un campione di 21 aziende associate a Egualia, il 44% del totale in termini di numerosità e il 75% in termini di fatturato, cui è stato chiesto di indicare incidenza e incremento percentuale delle principali voci di costo (principi attivi; eccipienti; materiali di confezionamento; fonti energetiche; trasporto; costo del lavoro) nel triennio 2019-2021. Dai dati emerge che per tutte le voci il rincaro complessivo nei 3 anni è compreso tra il 31% e il 51%. Non solo. Dal report – sottolinea una nota – risulta evidente che i principi attivi (Api) rappresentano solo una piccola porzione dei costi necessari per l’immissione di un farmaco sul mercato: fatto 100 il costo di produzione, a pesare maggiormente è il costo dei materiali di confezionamento, che nel triennio fanno registrare un’incidenza attorno al 20%, mentre principi attivi ed eccipienti rappresentano rispettivamente il 14% e il 10% circa del totale.  

Particolare riferimento va a tutti i materiali di confezionamento primario (blister, bustine, flaconi, fiale, tubetti, etc.) e secondario – fondamentali e ineliminabili per garantire l’integrità dei farmaci – su cui variazioni di prezzo persistenti possono creare condizioni di grande difficoltà per le imprese che ne fanno uso estensivo, incidendo di fatto per circa un quinto del totale dei costi. Casi eclatanti l’alluminio, arrivato a costare nel primo semestre 2022 il 37% i più rispetto allo stesso periodo del 2021 (+60% rispetto al primo semestre 2019); il polietilene e il vetro, cresciuti del 9% nello stesso periodo.  

“La supply chain del farmaco sta subendo a livello mondiale una pressione, spesso insostenibile – commenta Lucio Poma, chief economist di Nomisma e coordinatore scientifico dello studio – Tutta la trasmutazione in atto può essere riassunta nel termine ‘incertezza’. Le aziende sono costrette, senza averne gli strumenti, a passare da un’organizzazione basata sulla gestione del rischio a un sistema basato sulla gestione dell’incertezza. Per questo sono indispensabili policy di sostegno che aiutino le imprese a intraprendere una nuova traiettoria organizzativa. L’aumento delle materie prime necessarie per il packaging, unito al caro energia, ha raggiunto livelli talmente elevati da porre in dubbio, per talune imprese, la convenienza produttiva, a scapito della tenuta delle catene e, potenzialmente, della disponibilità dei prodotti finali”.  

Per Poma è giunto il momento di “ragionare su criteri più allargati nella definizione dei prezzi dei farmaci commercializzati, in quanto il costo degli Api rappresenta solo una piccola porzione dei costi necessari per l’immissione di un farmaco sul mercato e la tempistica di 4 anni attualmente individuata per la revisione del prezzo dei prodotti non è compatibile rispetto alla repentina evoluzione dei mercati internazionali”. Evidenzia ancora il coordinatore dello studio: “Discontinuità delle forniture e volatilità dei prezzi di materie prime, energia e logistica selezionano la capacità delle imprese di resistere sul mercato anche in base alla loro liquidità e patrimonializzazione. Per garantire una strategia difensiva alle imprese sarebbe necessario rendere meno rigido il flusso produttivo, semplificando alcune regolamentazioni autorizzative in ambito produttivo”.  

“Rafforzare la filiera produttiva e rendere più stabile e sicura la catena di approvvigionamento, limitandone le interruzioni, rappresenta uno dei pilastri della strategia farmaceutica per l’Europa che la Commissione ha comunicato al Parlamento europeo il 25 novembre del 2020, ma la questione delle catene di approvvigionamento è tale da esigere livelli di azione innanzitutto a livello nazionale”, rimarca Poma, ricordando che “gli incentivi messi a disposizione nell’ultimo anno per le imprese manifatturiere in Italia risultano di difficile accesso per alcuni vincoli relativi agli aiuti di Stato” e che “in Italia, a differenza di altri Stati membri, taluni incentivi vengono destinati esclusivamente all’innovazione, tralasciando la produzione su larga scala”.  

Il suggerimento, allora – prosegue la nota – è trarre ispirazione dal Chips Ac, varato dalla Commissione Ue a febbraio e recante una importante indicazione sul fronte Antitrust, laddove la Commissione lascia intendere che la politica per la concorrenza può risultare “compatibile” con gli aiuti di Stato nel caso di intensa innovazione tecnologica, ma anche nel caso in cui la necessità di un bene è tale da ricadere “nell’interesse pubblico”.  

“La Commissione – conclude Poma – dichiara che i chips sono indispensabili per garantire la quasi totalità delle produzioni di beni e servizi europei e che l’investimento privato in strutture avanzate richiederebbe un sostegno pubblico significativo, a causa delle elevate barriere all’ingresso e dell’intensità di capitale del settore. Allo stesso modo qualità e sicurezza dei medicinali sono fondamentali per i cittadini e necessitano di robuste catene di approvvigionamento internazionali ben funzionanti, anche tramite il rafforzamento delle produzioni interne. Perché la carenza di medicinali sul territorio nazionale è il più grave rischio che corriamo già a breve termine, in assenza di interventi ad hoc da parte delle istituzioni e delle agenzie regolatorie”.  

(Adnkronos)