(Adnkronos) – “Il mal di gola che colpisce le alte vie respiratorie, nel 95% dei casi, è dovuto a virus. L’antibiotico funziona solo nel 5% dei casi. In queste infezioni virali abbiamo antinfiammatori che agiscono benissimo a livello locale perchè aiutano a controllare i sintomi: dolore, difficoltà a deglutire e febbricola. L’antibiotico non funziona”, anzi “favorisce il fenomeno dell’antibiotico resistenza” ed espone il soggetto “agli effetti avversi del farmaco”. Così Aurelio Sessa, specialista in medicina interna, nel direttivo nazionale e presidente Regionale di Simg (Società italiana di medicina generale) Lombardia, commenta i risultati dell’indagine di Iqvia sull’antibiotico resistenza, realizzata per Reckitt e appena pubblicata, in occasione della Settimana mondiale sull’uso consapevole di questi farmaci che si celebra, quest’anno, dal 18 al 24 novembre.
Dalla survey, realizzata su 1.300 persone rappresentative della popolazione italiana adulta, emerge che “2/3 hanno usato un antibiotico negli ultimi 12 mesi, ma in oltre la metà dei casi era per il mal di gola. Qui – afferma Sessa – si evidenzia il problema della non appropriatezza nell’uso dell’antibiotico. Erroneamente si crede che possa risolvere il problema delle alte vie respiratorie”. Quando, in seguito a un mal di gola, nel giro di qualche giorno si sta meglio, “si crede che sia stato l’antibiotico – continua il medico – invece è il decorso naturale: l’infezione virale delle alte vie aeree, con un sistema immunitario competente, si risolve naturalmente. Quando ci fosse una incapacità di far fronte a semplici infezioni virali, può servire qualcosa di più”. In generale “nella popolazione, fino ai 60anni, si può fare a meno dei farmaci”, vanno evitati gli antibiotici, “ma sui sintomi legati al mal di gola, gli antinfiammatori locali sono utili”.
E’ infatti “proprio l’uso non appropriato dell’antibiotico a causare la resistenza perché si selezionano batteri sempre più resistenti – spiega Sessa – L’antibiotico resistenza è infatti il risultato di un naturale istinto di sopravvivenza che i batteri sviluppano con una serie di sistemi di difesa che rendono meno efficaci o inefficaci i farmaci. Inoltre, un battere che diventa resistente all’antibiotico resta nell’organismo dell’ospite per oltre un anno, quindi portiamo batteri resistenti per lunghissimi periodi anche quando siamo sani”, siamo senza sintomi. Inoltre, anche se l’uomo mette in campo nuovi farmaci, “i batteri si trasmettendo la loro capacità di resistere e”, come se non bastasse, “l’uso improprio degli antibiotici espone chi li assume agli eventi avversi”.
Questi farmaci richiedono una ricetta del medico, ma come emerge anche dall’indagine Iqvia, “le persone – ricorda Sessa – usano anche antibiotici che hanno in casa, quelli usati per altre infezioni. Il paziente fa un po’ il ‘fai da te’. Molte volte il medico si ritrova con il paziente che ha già iniziato la terapia e che chiede la prescrizione per completarla. Non ultimo – aggiunge – talvolta, cosa non così diffusa, il farmacista dispensa l’antibiotico di fronte a una richiesta del paziente che promette di portare la ricetta. Sono tutte situazioni che devono essere bloccate con una buona comunicazione del medico di medicina generale, ma anche da parte delle istituzioni, in occasione di iniziative come quelle di questa settimana”.
A tale proposito, il riferimento per l’informazione sanitaria, nel 50% degli intervistati, è stato indicato nel medico di medicina generale che “dovrebbe forse dedicare un po’ più di tempo ai suoi assistiti” e informarli su questi aspetti. “E’ solo questione di qualche minuto: la comunicazione chiara ed efficace – conclude Sessa – è fondamentale”.