(Adnkronos) – “Di nuovo” la principessa del Galles, Kate Middleton, “ha dato messaggi forti di speranza, molto umani, di luce in fondo al tunnel, che è quella che desiderano tutti i malati di cancro come di altre malattie gravi. Ed è riuscita in realtà a toccare un po’ tutti i temi che sono stati per tanto e che sono ancora troppo spesso dei tabù. In primo luogo ha chiamato la malattia col suo nome: la chiama cancro, non fa giri di parole. E poi ha enfatizzato l’importanza della famiglia, del partner, di chi è vicino al malato di cancro. Non si vince da soli, ma grazie anche all’aiuto e alla condivisione di chi ci vuole bene e ci sta vicino. E ha ribadito che è un percorso lungo e difficile, ma che si può superare”. E’ la riflessione di Elisabetta Iannelli, segretario generale della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo).
Commentando all’Adnkronos Salute l’ultimo messaggio della principessa Catherine, spiega come le parole – quando si parla di cancro – abbiano un peso, soprattutto quando a pronunciarle è una persona così esposta da raggiungere ogni angolo del mondo, come nel caso dei reali britannici. “L’attenzione è molto alta nei suoi confronti, quindi ogni sua dichiarazione ha una ricaduta e un’eco enorme, che non si ferma ai confini della Gran Bretagna. E non è facile per nessuno, tantomeno per una persona che è esposta mediaticamente, parlare delle proprie fragilità, delle proprie paure, delle proprie difficoltà, della realtà, raccontata con molta semplicità” come ha fatto Kate, secondo Iannelli, “riportando l’attenzione a quelli che sono i valori essenziali della vita. Quante persone che hanno affrontato la malattia oncologica raccontano, dopo la diagnosi, di aver saputo apprezzare di più la vita, le cose semplici, le cose più importanti, i valori essenziali? Lei è una di noi”.
Iannelli percepisce una vicinanza. “Il concetto è che di fronte alla malattia fondamentalmente siamo tutti uguali – riflette – Qualcuno, sono certa, dirà che una migliore condizione sociale, economica o di rango, può dare maggiori possibilità di cura e quindi anche di guarigione. Ma abbiamo anche tanti esempi di persone che non ce l’hanno fatta nonostante queste migliori disponibilità economiche, conoscenze, agevolazioni sulla carta”. Il modo in cui Kate sta comunicando la sua malattia convince il segretario generale della Favo: “Sono interventi centellinati, in corrispondenza degli snodi più importanti del suo percorso – analizza – Ed è molto più efficace una comunicazione fatta in questi momenti: ho avuto la diagnosi, sto affrontando le terapie, ho finito ma il percorso è ancora lungo, perché mi devo riprendere, perché sappiamo che nei primi mesi c’è ancora un rischio magari maggiore anche di progressione, di recidiva”.
In questo il messaggio della principessa tocca anche il tema della paura di un ritorno della malattia. “E ovviamente il primo pensiero sarà per i figli, insieme al marito. Insomma, l’essenza delle cose importanti”, evidenzia Iannelli. “Il messaggio è: apprezza la vita e carpe diem, vivi ogni giorno come viene. Pur con la ferma volontà e intendimento di ritornare prima possibile, compatibilmente con le forze disponibili, agli impegni della propria quotidianità. Il che, trasposto nell’esistenza di una persona ‘normale'”, un ‘commoner’, “significa tornare al lavoro. In comune c’è il desiderio di riavere la propria ‘normalità’, quindi anche il proprio lavoro”.
“Certamente – puntualizza – non sempre è così scontato e sicuro, perché le difficoltà nel mondo reale sono tante. E a maggior ragione bisognerebbe prendere atto di questo aspetto che accomuna tutte le persone con la malattia, e agire di conseguenza, in termini di tutela del lavoro come punto che completa il percorso di cura, di riabilitazione e di ritorno alla vita piena”. Il fatto che questo messaggio arrivi da una persona in vista come Kate, conclude Iannelli, “può dare un contributo che ci fa fare un salto in avanti anche nel superare lo stigma che affligge ancora troppo spesso molti malati di cancro, che non dicono di avere il cancro perché hanno paura di essere messi da parte”.