Medici E.R. in estinzione, rettore UniSR: “Crisi superabile in 3 anni”

(Adnkronos) – Nessuno vuole più essere George Clooney. O meglio l’equivalente reale del dottor Doug Ross, personaggio indimenticato che la star hollywoodiana interpretava nella serie tv ‘E.R.’. I medici dell’emergenza urgenza rischiano l’estinzione in Italia? “In realtà non è un problema solo del nostro Paese, ma mondiale. Abbiamo visto tante belle serie di telefilm dal ‘dottor Kildare'”, capostipite dei medical drama, “in poi. Serie ambientate in questi grandi ospedali in cui succedono cose meravigliose, però adesso anche negli Usa si iscrivono di più per andare a fare i chirurghi plastici o estetici a Beverly Hills”, sorride con un pizzico di amarezza Enrico Gherlone, rettore dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e membro dell’Osservatorio nazionale per la formazione specialistica. Il tema è caldo: i tanti posti nelle scuole di specializzazione in Medicina che restano vuoti. Succede in particolare in alcune specialità, come appunto la medicina d’emergenza-urgenza, che proprio per questo motivo è al centro anche di una campagna del ministero della Salute, ‘#Noisalviamovite’, presentata ieri.  

“Innanzitutto va focalizzato il problema, il perché di questo preoccupante trend”, riflette Gherlone, intervistato dall’Adnkronos Salute mentre si avvicina il momento in cui oltre 14mila studenti e studentesse che hanno partecipato alle prove di selezione dovranno decidere a quale scuola di specializzazione iscriversi. “Non sappiamo ancora come andrà, ma mi aspetto che più o meno il trend sia lo stesso, non prevedo ancora un’inversione di tendenza. Osservando le carenze è evidente che le specialità meno attrattive sono quelle spesso più rischiose, con maggiore contenzioso medico-legale, con una qualità di vita peggiore oppure quelle che al contempo offrono poche possibilità di incremento economico attraverso la libera professione. Ma in realtà si sta lavorando al problema. Sono state varate alcune misure e sono state dette delle cose fondamentali”. E “se si lavora bene, il risultato si otterrà – assicura – Io mi aspetto che dovranno passare ancora 3 anni perché ci sia un’inversione di tendenza vera. In meno non si può fare”, pronostica il rettore.  

“Gli specializzandi – sottolinea – sono l’ossatura del sistema sanitario nazionale in questo momento e lo saranno sempre di più, quindi se non riusciamo a fare una politica positiva in questo siamo rovinati. Dobbiamo prenderne atto: le cose sono cambiate. E’ indicativo il fatto che nel 2020 su 13.400 posti banditi sono andati a vuoto solo 4 contratti di specializzazione in tutta Italia, nel 2018 e 2019 addirittura zero, avevamo un 100% di occupazione. Poi siamo passati nel 2021 a non assegnarne 1.783, nel 2022 ne abbiamo visti andare a vuoto 2.048, nel 2023 siamo saliti a 4.526”. Un’escalation. “Alcune specialità – continua Gherlone – detengono ormai un triste primato, come ad esempio la medicina d’urgenza, la microbiologia e virologia, la radioterapia, la medicina delle comunità, con anche l’80% di non assegnazioni. Purtroppo questo trend sta contagiando altre specialità che, sebbene in numeri assoluti mostrino occupazioni più alte, presentano un calo significativo di anno in anno. Un esempio è la chirurgia generale con un -50% delle vocazioni negli ultimi 3 anni”.  

LE RADICI DEL CROLLO DI VOCAZIONI – Se si va avanti così, ammette l’esperto, “sarà inevitabile un problema di efficienza e omogeneità dei servizi offerti dal nostro Ssn. Per alcune specialità direi, con dolore, anche un problema di sostenibilità”. Prima, ripercorre Gherlone, “il problema era che avevamo tante domande, ma pochi soldi e posti. Poi col Pnrr sono arrivate più risorse, siamo passati da 13.400 borse statali del 2020 a 17.004 nel 2021, fino a 14.579 nel 2023. Non c’è più l’imbuto formativo che abbiamo combattuto per anni. Quest’anno addirittura abbiamo più posti che domande. Ma abbiamo capito che ci sono anche altri fattori che pesano sulle scelte” dei giovani camici bianchi. “E il problema ci vorrà un po’ a risolverlo. Credo che anche quest’anno si assisterà ancora, in linea col trend osservato ultimamente, a un numero elevato di posti non coperti in alcune scuole di specializzazione. I posti messi a concorso finanziati da Stato, Regioni o enti pubblici/privati erano circa 6.700 nel 2017 divenendo 15.700 nel 2023, ma si è ridotta la percentuale di quelli coperti dall’89,2% al 64,7%”.  

Nel dettaglio, per medicina di emergenza-urgenza nel 2023 su 855 contratti statali solo 234 sono stati assegnati ed è successo anche che in realtà accademiche ambite e prestigiose non si sia presentato nessuno. “Mi sono detto: questi ragazzi non hanno capito, però li capisco – analizza Gherlone – E’ stato un errore anche nostro. Alle persone bisogna dare certezze. E ora ci stiamo lavorando veramente. Per esempio è stato dichiarato che aumentare l’attrattività non è solo un fatto economico, è anche un tema di diversificazione dei contratti. Allo specializzando che fa una vita più piena e ha meno tempo libero per fare altre cose si deve dare la possibilità di avere un contratto con cui guadagna di più rispetto a chi fa una specialità che lo lascia più libero”. In altre parole chi fa un lavoro “più usurante, che implica un maggior numero di turni, non consente attività libero-professionale, ha bisogno di indennità e scatti stipendiali diversi”.  

Ci sono diversi livelli di azione: un livello centrale e poi la dimensione degli atenei. “Noi all’UniSR stiamo cercando di aumentare l’attrattività facendo integrare questi specializzandi nei vari reparti, non tenendoli solo al pronto soccorso, ma offrendo rotazioni certe con una trasversalità di esperienze che transita in anestesia e rianimazione, cardiologia, chirurgia d’urgenza. In più abbiamo dato una forte spinta negli ultimi anni alla creazione di una rete di convenzioni con primarie strutture nazionali e internazionali dove partecipare a progetti di ricerca innovativi e multicentrici, perché i giovani medici ce lo chiedono sempre di più. Lavoriamo insomma per far avere un’esperienza varia, e dare loro la possibilità di reti formative anche con l’estero e con le altre scuole di emergenza. Anche l’accesso alla carriera universitaria per loro risulta più difficile che non in altre specialità, ma se si fa rete questa cosa migliora”. 

LA RICETTA PER INVERTIRE LA TENDENZA – Il fattore economico “sicuramente va modificato: le borse devono essere aumentate – dice il rettore – e deve avvenire a livello centrale, ma so che ci si sta lavorando. Va anche fatta una premessa: la formazione medica in Italia è di assoluta qualità, richiesta e di successo all’estero. Noi in UniSR stiamo investendo enormemente nella simulazione medica di base e avanzata. Ci avvaliamo di manichini, intelligenza artificiale, realtà aumentata e virtuale, attraverso strumenti dotati di sistema cardiopolmonare, vascolare, neurologico, sistemi dotati di movimenti degli arti, della testa, degli occhi e in grado di comunicare con il personale sanitario. Gli scenari sono ‘reali’, vanno dalla sala del pronto soccorso al trauma stradale esterno, fino alla terapia intensiva. Questo processo di simulazione ci consente una valutazione immediata e una correzione dell’atto medico fino al raggiungimento dell’autonomia clinica completa. A ciò si aggiunge la simulazione nel Cadaver Lab che permette la possibilità per tutte le specialità di procedere alla ripetizione di atti e procedure su strutture anatomiche reali”. 

A livello generale, continua Gherlone, “va poi a mio avviso fatto anche un ragionamento sulla ripartizione dei posti delle scuole di specialità. Ci sono tanti fattori che possono incidere sulle scelte degli studenti, che non pensavamo e sono usciti fuori adesso, soprattutto con la crisi economica. Ci siamo accorti che non basta solo l’eccellenza e la qualità della formazione, che si valuta spesso ad esempio quanto costa vivere in una città, o ancora in alcune realtà si è visto che gli studenti tendono a preferire atenei che sono serviti meglio dai treni, per dire. All’UniSR abbiamo una rete formativa di 18 ospedali e possiamo far girare i nostri specializzandi. Stiamo dunque pensando di agevolarli negli spostamenti con mezzi nostri come pulmini”. E’ vero che a livello globale gli studenti “oggi si rivolgono di più alla ginecologia alla chirurgia plastica o alla dermatologia, a specialità cioè che lasciano anche molta libertà, temporale e di libera professione. Ma bisogna capire perché e come intervenire”.  

“Serve – ragiona – un’allocazione dei contratti più moderna, tener conto delle sedi preferite, non dare un numero esagerato di posti per specialità che interessano un po’ meno al Ssn. Si va in ospedale perché si sta male e si deve essere curati e bisogna a stimolare specialità che servono a questo. Ci sarà sempre un nucleo di persone motivate che si iscriverà, dobbiamo far capire le prospettive future anche agli altri, far capire che hanno un bel futuro davanti, in cui saranno protetti dal punto di vista medico-legale, economico. Cosa direi a uno studente che dovrà fare la scelta della specialità? Noi siamo ‘boomer’, non apparteniamo alla loro generazione, però sicuramente consiglierei a questi giovani di rivolgersi in maniera entusiastica non a quelle specialità che oggi fanno fare più denaro, ma a quelle che in prospettiva oltre a dare una soddisfazione economica daranno soddisfazione medica e possibilità di carriera. Devono capire quello che gli può offrire una specialità adesso un po’ più penalizzata, ma con buone prospettive future. Il nostro sistema nazionale è uno dei migliori al mondo e dobbiamo ancora migliorarlo. Ce la possiamo fare. E la carenza non durerà a lungo, perché abbiamo in formazione 53mila specializzandi e 70mila studenti di Medicina. Sufficienti per coprire i fabbisogni dei prossimi anni dovuti ai pensionamenti. E’ stato scoperchiato un problema. Bene – conclude il rettore – perché solo così verrà risolto”.  

(Adnkronos)