Storia di Chiara il chirurgo, un muscolo del viso porta il suo nome

Per anni è stata una ‘no man’s land’, una terra di nessuno, sconosciuta. Oggi porta il suo nome: Chiara’s fascia. Ma lei, Chiara Andretto Amodeo, non è un’esploratrice, bensì un chirurgo plastico. E la terra conquistata dopo un decennio di studi investiti per scoprirla, descriverla, conoscerne le qualità, non è da qualche parte in un angolo sperduto del globo, ma sul viso di tutti noi. “Abbiamo dimostrato l’esistenza di una struttura fasciale, una fascia profonda che occupa la regione del terzo medio del volto, quindi al di sotto dell’occhio nella guancia – spiega l’esperta all’Adnkronos Salute – E’ stato dimostrato istologicamente che si tratta di una fascia profonda perché è stata messa a confronto con altre strutture fasciali profonde del capo. E corrisponde, non ci sono dubbi. E’ una struttura che protegge il nervo facciale, in particolare il ramo che va ai muscoli mimici che sollevano il labbro”.  

Inizialmente descritta come “fascia profonda della regione infraorbitaria che viene dalla fascia temporale”, oggi è semplicemente la Chiara’s fascia. Il ‘battesimo’ del nuovo nome è avvenuto in un contesto internazionale: il congresso organizzato dall’American College of Surgeons, Cosm 2021 (che riunisce 9 società scientifiche degli States), lo scorso aprile. Chiara, classe 1977, era l’unico chirurgo plastico italiano a presentare una relazione. Da allora di congressi ce ne sono stati altri. La consacrazione definitiva? Finire in una delle ‘bibbie’ dell’anatomia. Spesso le strutture prendono il nome da chi le ha descritte. Ma possono volerci anni, sono le leggi della ‘toponomastica’ del corpo umano. 

Intanto Chiara di soddisfazioni se n’è tolte parecchie, anche quella di finire con la sua fascia in un libro di chirurgia della testa e del collo. E di sentire il suo nome pronunciato in giro per il mondo da colleghi stranieri, in versione ‘modificata’ anglosassone o francese, (“ciara’s o ciahà’s fascia, ma ne vale la pena, è il contenuto che conta”, dice). Però non è stato facile arrivare fino a qui. “Gran parte della prima fase di ricerca è stata autofinanziata, ci ho creduto tanto”, ricorda.  

La storia comincia con una trentenne di belle speranze nata a Voghera (Pavia), che vola “a Parigi dove c’è una scuola molto importante di anatomia a livello europeo. Allora i fondi non erano granché. Quindi, grazie alla partecipazione di altre figure professionali, un professore piuttosto che un altro, con delle convenzioni – racconta Chiara – io riuscivo ad avere il materiale che mi serviva per i miei studi, materiale che per un anatomista sono ovviamente anche i cadaveri”. La studiosa si ritrovava quindi a “festeggiare con le amiche di averne potuti dissezionare 10 gratis”. “C’è chi si esalta per la borsa griffata, io a quei tempi gioivo per aver potuto usufruire di materiale e stanze di lavoro per un corrispettivo di 5-6mila euro”, sorride.  

I sacrifici alla fine portano frutti. “Ci sono state occasioni importanti – ripercorre ancora il chirurgo – Basti pensare che la società medico-scientifica di cui faccio parte ormai da anni, la Société anatomique de Paris, è la più antica del pianeta”. E poi è arrivato quello che Chiara definisce il “mentore per antonomasia”: Gregory S. Keller, professore della University of California, Los Angeles (Ucla): “Mi ha dato la prima possibilità di sviluppare il lavoro che mi ha portato dove sono ora”.  

Da quella visione di una fascia profonda dove si ipotizzava non ci fosse, ripercorre la specialista, è nato “uno studio internazionale a cui hanno partecipato colleghi italiani, americani, francesi sia nel campo della chirurgia che dell’anatomia patologica e dell’istologia. In questi anni abbiamo presentato le varie tappe di ricerca in numerosi congressi in tutto il mondo e firmato tante pubblicazioni. In un primo momento ci siamo dedicati a definire anatomicamente la struttura e i suoi rapporti con quelle adiacenti, abbiamo dimostrato che questa fascia prende parte alla formazione di alcuni legamenti di sostegno del volto, abbiamo descritto il suo rapporto con il ramo del nervo che si trova al di sotto e viene protetto dalla fascia e anche coi vasi e altre strutture anatomiche”. 

Nel frattempo, continua Chiara, “si è sviluppata anche l’applicazione chirurgica in campo estetico, soprattutto nei lifting, e ci sono state numerose pubblicazioni sul fatto che, lasciando questa struttura in sede, è possibile eseguire manovre più sicure di scollamento. Considerando che il nervo è protetto, i tessuti possono essere isolati e riposizionati anche in un modo esteticamente più gradevole e naturale”. Saper gestire la Chiara’s fascia, continua la sua scopritrice, “si traduce per le pazienti in un minor rischio di danno al nervo, che è il rischio maggiore nelle procedure di lifting, e in un risultato migliore perché al chirurgo è permesso di lavorare con una confort zone più ampia”. 

“La scelta di un nome più snello per la struttura è arrivata solo ora, dopo anni di studi. Come ogni nuovo concetto scientifico, viene portato nelle sedi opportune che sono i congressi. E poi ci sono le pubblicazioni scientifiche. Ne è pronta una con questo nome. E altre 2-3 sono in ballo. Un ulteriore sviluppo interessante della ricerca riguarda l’applicazione nel campo dei melanomi”, illustra Chiara. “Dal punto di vista oncologico, “già a fine anni ’50 e inizio anni ’60 ci sono stati lavori che hanno indicato la fascia profonda come un piano di riferimento sicuro. Quindi, salvo casi specifici, viene preservata, perché sembra proteggere da un rischio metastasi ai linfonodi. Questo indicano le linee guida e vale per tutto il corpo. Ma manca il tassello di questa regione del volto, che va integrato – sostiene l’esperta – con la certezza che qui c’è una fascia profonda e la dimostrazione che sia possibile preservarla come si fa con altre zone”.  

“Prima che descrivessimo la struttura – osserva il chirurgo – questa parte del viso era un po’ una terra di nessuno, era l’unica parte del corpo dove non era stata descritta una fascia profonda. Aver dimostrato che esiste ci sta portando a sviluppare l’applicazione nel campo dei melanomi in quest’area facciale, dove prima la resezione poteva andare molto in profondità andando a coinvolgere quei muscoli mimici ricoperti e protetti dalla fascia. Si apre così alla possibilità di trovare un approccio chirurgico quanto più conservativo che garantisca lo stesso risultato di quello più demolitivo”.  

Non è stato un percorso in discesa quello della Chiara’s fascia. “Spesso c’è timore ad affrontare qualcosa che va contro concetti acquisiti e di vecchia data”, osserva la specialista. A Chiara è capitato di ‘spaccare’ la platea: “Un paio di professori replicavano che loro questa fascia non l’avevano mai vista, altri rispondevano che meritavo un dottorato”. E lei si è guadagnata senza fretta la fiducia della comunità scientifica. “L’importante – ragiona – è sviluppare nuove acquisizioni nel modo più serio possibile portando prove concrete e dati, e poi insistere, perché non è detto che anche con i dati e le prove concrete il concetto venga metabolizzato L’attività scientifica si basa anche su questo, e ci vuole tempo. Poi arriva il momento in cui la prospettiva cambia”.  

Per Chiara è successo nel 2018, quando è stata invitata a parlare al Congresso americano di chirurgia plastica a Chicago. “Mi sentivo a mio agio con un parterre di professori importanti, perché portavo prove bomba”, ricorda. Era passato diverso tempo ormai dal suo primo congresso da relatrice, il Congresso mondiale di chirurgia plastica del volto a San Paolo dove era stata “invitata a parlare per la prima volta. Il mio battesimo”, lo chiama. 

Svolte importanti, come è stata quella che l’ha portata fino a Parigi, all’Ecole doctorale Sorbonne Paris Cité, e poi a Keller, il quale le ha concesso una fellowship per sviluppare i suoi studi, chiedendole in cambio impegno. “Gli mandavo mail lunghissime in cui cercavo di spiegare cosa avevo visto. Lui ha capito subito. E mi ha supportato in questi anni di studi, ha visto che quello che gli proponevo aveva un senso e insieme abbiamo continuato a svilupparlo. Oggi lavoriamo e pubblichiamo insieme, superando fuso orario e distanze”. E Chiara condivide con i colleghi Usa impegnati nelle dissezioni quello che lei ha acquisito nei lunghi anni di lavoro, offrendo foto e istruzioni per isolare bene la fascia. “C’è un continuo scambio – conclude – La ricerca continua. E ora siamo tantissimi”. 

(Adnkronos)