Tumore del colon, il cancro che ha colpito Totò Schillaci: prevenzione, test, terapie

(Adnkronos) – Addio a Totò Schillaci, indimenticato capocannoniere delle ‘notti magiche’ di Italia ’90, morto oggi a soli 59 anni a causa di un tumore del colon che lo aveva colpito un paio di anni fa. L’ex calciatore era ricoverato nel reparto di Pneumologia dell’Ospedale Civico di Palermo dal 7 settembre, quando le sue condizioni di salute erano peggiorate. Quello al colon, spiegava all’Adnkronos Salute qualche giorno fa Maurizio Vecchi, professore di gastroenterologia dell’università degli Studi di Milano e direttore della Gastroenterologia ed Endoscopia al Policlinico del capoluogo lombardo, è il “secondo tumore per frequenza ed è ai primi posti sia nei maschi che nelle femmine. Una neoplasia che dobbiamo tenere bene in considerazione”.  

I dati parlano chiaro: secondo le stime che ogni anno vengono diffuse nel rapporto ‘I numeri del cancro’, nel 2023 le nuove diagnosi di tumore del colon-retto sono state circa 50mila, numero inferiore solo ai nuovi casi di cancro al seno (circa 55.900). “Una frequenza elevata”, osserva l’esperto. Ma questo tumore ha anche un’altra caratteristica: “Se preso nei primissimi stadi, può essere debellato completamente e avere una prognosi eccellente per la vita, con una sopravvivenza a 5 anni superiore al 90%”. 

Per questo, continua Vecchi, “è davvero importante aderire allo screening” previsto per questa malattia. “Purtroppo, questo concetto non è ancora molto diffuso tra la popolazione generale, perché solo il 30-40% delle persone aderisce a questo tipo di programma. E’ un tasso sicuramente insoddisfacente, molto basso”. E c’è un altro alert che sta aprendo nuove valutazioni: “Purtroppo ultimamente si sta segnalando una maggiore frequenza dei casi di tumore del colon anche in un’età non attesa prima”, fra persone più giovani. “Tanto che si sta ipotizzando di abbassare l’età di inizio dello screening a 45”.  

Se questo tumore viene diagnosticato tardivamente, “quando è già molto esteso e quando sono presenti metastasi a distanza, a quel punto la sopravvivenza a 5 anni è bassa”. Ecco perché questa neoplasia è “il target ideale per un programma di screening, che prevede in questo caso una volta ogni due anni, a partire dai 50 anni di età, l’invito a ritirare in farmacia una provetta per la ricerca del sangue occulto nelle feci, ed eseguire il test, riportando il campione in farmacia, tutto questo gratuitamente”. 

Se la ricerca del sangue occulto fosse positiva, “il paziente viene invitato sempre gratuitamente a eseguire l’accertamento di secondo livello, che è la colonscopia. Ovviamente in questa fase l’adesione è molto più elevata. Il cancro al colon è un tumore di cui dobbiamo occuparci, anche perché i programmi di prevenzione in questo caso sono veramente volti non solo a fare una diagnosi precoce di un tumore già in atto, ma anche a trovare addirittura i polipi adenomatosi del colon, che sono il ‘precursore’ tipico del carcinoma, e possono essere rimossi durante la colonoscopia, facendo ripartire da zero un cammino che era già iniziato verso il tumore del colon. E’ questo l’unico campo in cui noi facciamo vera e propria prevenzione, perché andiamo a togliere una lesione che non è ancora un tumore, ma che lo diventerà”. 

In generale, “la percentuale dei tumori diagnosticati in fase iniziale è aumentata, perché l’attività di screening ha ridotto significativamente lo stadio di malattia. E – prosegue Vecchi – ci sono degli studi che dimostrano negli Usa, ma anche in Italia, come l’implementazione dello screening riduce alla fine la mortalità”. Ed ecco, riflette l’esperto, “anche perché sorprende sempre che la malattia possa recidivare a distanza di tempo, nel momento in cui viene completamente eradicata con un intervento chirurgico ed eventualmente con una terapia adeguata. In alcuni casi ovviamente questo succede, soprattutto però quando la diagnosi, l’intervento chirurgico e la terapia vengono eseguiti quando già il tumore è andato un po’ oltre l’organo iniziale, magari ha colpito i linfonodi ed è presente nel fegato in cui c’è la sede tipica delle prime metastasi. E non possiamo essere certi che, anche se andiamo a togliere quei linfonodi o quelle lesioni del fegato, non ci siano già cellule in giro che magari si riveleranno in tempi successivi”.  

“Oggi diciamo che le forme diagnosticate nella fase più avanzata possono essere intorno al 10-15%, lo stadio che già coinvolge i linfonodi riguarda probabilmente il 30-40% dei casi. Mentre intorno al 50%, fortunatamente, viene scoperto in fase iniziale”, illustra lo specialista. Dopo il fegato, il secondo ‘filtro’ dell’organismo che può essere colpito “è il polmone – spiega ancora Vecchi – Si capisce dunque quanto è importante che anche i media dedichino tempo e spazio al tumore del colon. Il 95% di queste neoplasie è rappresentato dal cosiddetto tumore sporadico, che comunque ha una sua familiarità, per cui le persone che hanno avuto in famiglia dei casi sono più esposte a questo rischio, soprattutto se i tumori del colon del familiare sono avvenuti in età precoce o intorno ai 50 anni. In queste circostanze i parenti di primo grado devono iniziare lo screening anche prima dell’età prevista per la popolazione generale”. 

Quanto alle terapie, “sono migliorate in maniera eclatante nel corso degli anni, sia dal punto di vista delle tecniche chirurgiche, sempre più precise e focalizzate, che delle chemioterapie, divenute molto più efficaci. Nei tumori più bassi del retto ci sono dei casi selezionati con caratteristiche genetiche precise in cui si è visto che l’immunoterapia fa regredire completamente la malattia. E si lavora anche nella direzione dei vaccini a mRna e verso sistemi che possano aumentare la capacità diagnostica senza usare mezzi invasivi. Nell’arco di non molti anni dovrebbe concretizzarsi per esempio la cosiddetta ‘biopsia liquida’: da un prelievo di sangue potremo identificare la presenza di Dna tumorale. Il primo messaggio oggi è: aderite agli screening” che offrono la ricerca del sangue occulto, conclude Vecchi. “E non sarebbe una scelta sbagliata se un 50enne che ha avuto la madre colpita dal tumore a 70 anni volesse fase la colonscopia. Ma un altro punto fermo da tenere a mente è che, anche quando la diagnosi arriva in fase avanzata, si può intervenire, con approcci mirati pure sulle lesioni secondarie. Quindi mai darsi per vinti”. 

(Adnkronos)