25 aprile, la strage nazista di Civitella in Val di Chiana: cosa è successo

(Adnkronos) – Oggi 25 aprile 2024 il presidente della Repubblica Mattarella ha scelto quest’anno per la celebrazione della festa della Liberazione Civitella in Val di Chiana, in Toscana. Ma cosa è successo in questo paese?  

Il 29 giugno 1944 a Civitella in Val Chiana, in provincia di Arezzo, che durante la ritirata tedesca si trovava nelle immediate retrovie del fronte lungo la Linea Gotica, divenne teatro di una efferata strage nazifascista. Qualche giorno dopo la morte di alcuni soldati tedeschi, i nazisti iniziarono a rastrellare gli uomini e poi irruppero in chiesa, dove il parroco, don Alcide Lazzeri, tentò senza successo di salvare i fedeli offrendosi come vittima.  

A cinque a cinque tutti gli uomini, compreso il prelato, vennero trucidati e il paese fu incendiato, per uccidere anche chi in qualche modo era riuscito a nascondersi. Sommando ai martiri di Civitella quelli delle due frazioni di Solaia e Cornia, dove furono uccise con spietata ferocia anche donne e bambini, e della vicina San Pancrazio, in tutto furono massacrate 244 persone. 

La sera del 18 giugno 1944, domenica, nove soldati tedeschi, forse paracadutisti della divisione “Hermann Göring”, si avvicinano ad una casa colonica in località Madonna presso Civitella. Dopo aver ordinato la cena e mangiato, si diressero verso il Dopolavoro del paese, sedendosi ad un tavolo, le armi appoggiate a terra. Un gruppo di partigiani, saputo che nel paese giravano dei tedeschi, decise di tentarne il disarmo. Verso le 21, essi entrano nel locale armati. Qui le versioni divergono: chi dice che i partigiani aprirono subito il fuoco, chi invece propende per una intimazione di resa, a cui i tedeschi avrebbero reagito. In ogni caso, ci fu un conflitto a fuoco e tre tedeschi cadono a terra. Uno di essi, illeso, invece riusciva a fuggire. Nel Dopolavoro la confusione era al massimo, i civili scappavano da ogni parte e qualcuno era stato anche ferito. Dei tedeschi, due erano morti e uno e ferito. 

Verso le 23 della notte, alla casa colonica della Madonna, arriva un tedesco che porta sulle spalle un compagno ferito. E’ lo stesso del Dopolavoro, che viene lavato e curato, finchè i suoi compagni lo portano via su un camion. Al paese, intanto, quando spunta l’alba, la popolazione scappa terrorizzata dalla rappresaglia. Nel frattempo, l’arciprete don Alcide Lazzeri, saputo dell’accaduto, decide di far lavare i due morti tedeschi rimasti nel Dopolavoro, ed organizza loro il funerale con le poche donne che è riuscito a trovare. Ma dei tedeschi ancora nessuna traccia.  

Il 20 giugno arriva un militare tedesco, forse un medico, ad esaminare i due cadaveri che ancora giacciono nel locale di ritrovo. Assieme ad una interprete, egli ascolta don Lazzeri che rammenta le fasi dell’attacco e dichiara che i civili sono estranei a quanto accaduto. L’ufficiale accetta, come segno di buona volontà, che i due soldati siano sepolti nel locale cimitero, e così avviene, con la partecipazione di un picchetto militare tedesco. Ma ancora le intenzioni dei soldati non sono chiare, e i paesani hanno paura a tornare.  

Dopo una serie di indagini, i tedeschi vanno via. Anzi, qualcuno dice ai civitellini di stare tranquilli, perché non ci saranno rappresaglie. Ma invece, la mattina del 29 giugno 1944, quando anche per la festa di San Pietro e Paolo, molti sono rientrati, unità della divisione paracadutisti corazzati “Hermann Göring”, a cui si affiancano altri militari, pare ci siano stati anche degli italiani, circonda il paese all’alba. Tutti gli uomini vengono strappati alle case e portati sulla piazza del paese, tra essi anche don Lazzeri che offre la sua vita in cambio di quella dei civili. Non viene ascoltato: sarà ucciso con un colpo alla nuca come tutti gli altri 149 i morti, tra cui due sacerdoti. Poi, i corpi vengono gettati nelle case a cui i tedeschi hanno dato fuoco. 

L’ampiezza dell’operazione e il numero di compagnie coinvolte nei fatti di Civitella non permette di stabilire con esattezza l’ora, ma tutti i testimoni sopravvissuti concordano nell’aver individuato l’arrivo dei soldati tedeschi intorno alle 5,30 del mattino, quando le famiglie si preparavano ad andare alla messa nel giorno di Pietro e Paolo. 

Tra gli intenti dell’operazione vi era sicuramente anche quello di rallentare l’avanzata delle truppe Alleate, nel momento in cui si stava costruendo negli Appennini la Linea Gotica a difesa dell’Italia settentrionale. 

I primi ad essere uccisi furono gli abitanti delle frazioni intorno al paese. Le case di Palazzina, Querciola, Maestà Tonda furono perquisite dai soldati tedeschi e in ognuna furono uccisi uomini, donne e ragazzi, che erano rimasti a casa. A Civitella i militari entrarono da Porta Senese, percorrendo le strade del paese e spingendo in direzione della chiesa parrocchiale coloro che venivano catturati lungo il loro tragitto. I soldati tedeschi giunsero poi presso la Casa di Riposo e qui uccisero otto ospiti che si trovavano al suo interno. 

Giunti alla chiesa, dove erano riuniti gli abitanti, trovarono la porta chiusa. Il parroco don Alcide Lazzeri, comprendendo con ogni probabilità cosa stava accadendo, aveva benedetto la popolazione facendola chiudere dentro l’edificio. I soldati lanciarono una bomba a mano per aprile la porta e trascinarono fuori gli abitanti che si erano rinchiusi sperando di salvarsi. Sembra che allora proprio don Alcide abbia gridato: “Sono io il responsabile di quanto è accaduto, uccidete me”. 

Il tentativo fu inutile. Gli uomini furono portati a lato della chiesa a gruppi di cinque, e uccisi. Lo stesso don Lazzeri morì nell’eccidio. Dopo le esecuzioni, i soldati tedeschi continuarono a cercare e uccidere gli abitanti rimasti dentro le abitazioni. In ultimo, incendiarono le case di Civitella, provocando la morte anche di coloro che avevano tentato di salvarsi nascondendosi nelle cantine o nelle soffitte. Solo pochi uomini riuscirono a sfuggire al massacro. 

Allo stesso tempo in cui veniva sferrato l’attacco a Civitella, un altro gruppo di tedeschi partìti da Monte San Savino lungo il sentiero di montagna che va al piccolo paese di Cornia, passando per le fattorie Il Burrone e Solaia, da dove il prete don Natale Romanelli, dopo aver celebrato la messa delle sette, era appena partito per Verniana. Dopo un chilometro circa, incontrò un amico che gli disse di tornare indietro e avvertire la gente che doveva scappare. La madre e la sorella del prete si rifiutarono di ascoltarlo, sostenendo che i tedeschi non avrebbero toccato le donne, ma a Cornia essi non risparmiarono nessuno. Alle nove, ora in cui gli uomini si erano nascosti nei boschi di Valibona, i tedeschi arrivarono. Qualcuno di loro fu testimone delle scene terribili che si verificarono. I soldati chiusero cinque donne in una casa, spararono loro e poi appiccarono il fuoco. Una donna fu colpita da una bomba a mano e saltò insieme ad un maiale. La sorella del prete, affetta da poliomielite, fu uccisa nel giardino della sua casa, che restò un mucchio di rovine. Solo la chiesa rimase intatta, ma fu bombardata in seguito dai cannoni alleati. 

Il 3 luglio altre truppe tedesche appartenenti alla 1 Fallschirmjäger-Division in ritirata della Linea Albert arrivarono nella zona e si sistemarono nella chiesa di Cornia, dove distrussero tutto. Don Natale affermò che questi soldati erano stati peggiori dei loro commilitoni che erano entrati a Civitella due giorni prima. Quest’ultimi si servirono del paese come principale posizione difensiva per più di quindici giorni, creando alloggi all’esterno delle mura, dormendo nella cantine delle case che ancora erano in piedi, mettendo i materassi per terra in chiesa, non senza averla dissacrata, usando i paramenti sacri come carta da gabinetto e sparando alle immagini sacre. L’artiglieria della 4 British Division, che in quel momento si trovò già nelle vicinanze, bombardò continuamente il paese con l’intento di cercar di annientare questi tedeschi, col risultato di far crollare altre case. La torre del castello fu danneggiata, e tutta la chiesa parrocchiale andò in rovina, con la torre campanaria rasa al suolo. 

A Solaia, oltre all’intera famiglia Valli, fu uccisa Modesta Rossi, staffetta partigiana e moglie del partigiano Dario Polletti, mentre si trovava in casa con il figlio piccolo in braccio, anch’egli ucciso con una scure insieme alla madre, sotto gli occhi dell’altro figlio di sette anni, Mario. 

La divisione “Hermann Goering” era composta in larghissima parte di giovani tra i 17 e i 24 anni ed era reclutata su base volontaria dalla Hitlerjugend e da altre organizzazioni collaterali del partito nazista. Aveva fatto le sue uniche prove nell’Europa occupata, specializzandosi in massacri di civili. A partire dal marzo del 1944, era stata spostata in Toscana partecipando a diverse incursioni nell’area appenninica. 

L’eccidio di Civitella, Cornia e San Pancrazio fu sicuramente uno dei più efferati dei massacri compiuti. Nell’area aretina, l”Hermann Goering’ aveva trucidato, nel mese di aprile del 1944, tutta la popolazione di Vallucciole, nell’alto Casentino, rubricando poi come ‘Banditen’ gli uomini, le donne e i bambini, spesso infanti, sorpresi nelle loro case. Alla Divisione appartenevano anche i membri di un ex Corpo musicale che durante il 1942 si era esibito in varie città italiane, venendo sciolto nel 1943 quando le truppe tedesche presenti in Italia necessitavano di rinforzi. Alcuni dei suoi componenti si trovavano sicuramente, come truppe ausiliarie del reparto di Polizia militare, tra i soldati che perpetrarono l”eccidio del 29 giugno 1944 a Civitella, tanto è vero che i due ufficiali condannati dal Tribunale di La Spezia, ne facevano parte. 

(Adnkronos)