Aurelio Grimaldi: “Al Beccaria torture sudamericane”

(Adnkronos) – “Quello che è successo al carcere minorile Beccaria di Milano è un segnale di ritorno al Medioevo. Quelle che ho viste nelle immagini andate nei tg le chiamo torture sudamericane, torture crudeli, per fare del male”. A parlare, in una intervista all’Adnkronos, è il regista e scrittore Aurelio Grimaldi, che commenta così i fatti del carcere minorile Cesare Beccaria di Milano, dove nelle scorse settimane sono stati arrestati 13 agenti penitenziari e altri otto sono stati sospesi dal servizio per presunti maltrattamenti e torture. Grimaldi è l’autore del libro ‘Meri per sempre’, poi diventato un film cult nel 1989 con Michele Placido, ambientato nel carcere Malaspina di Palermo. “Non credevo alle mie orecchie, quando ho sentito la notizia – dice Aurelio Grimaldi, impegnato in questi giorni in Sicilia per girare il suo nuovo film – Intanto stiamo parlando del carcere minorile di Milano, dove pensiamo che le cose siano organizzate meglio che altrove. E’ stato intitolato al grande Cesare Beccaria, che parlava ‘De delitti e delle pene’ nel 1764 e ora, nel 2024, succedono queste cose. Io non voglio prendermela con gli agenti penitenziari, che spero verranno portati severamente davanti alle forze ddell’autorità. Però credo che gli agenti che vengono pagati dallo Stato e gli operatori che non fanno il loro dovere sono doppiamente responsabili. Se il reato lo commette chi deve salvaguardare la sicurezza nazionale è più angosciante. Al di là dei responsabili”.  

Secondo Aurelio Grimaldi “il sistema di giustizia minorile va completamente rivisto” e il “governo Meloni sta prendendo la strada più sbagliata”. “Un agente di Polizia penitenziaria si può permettere questa cosa perché convinto che i suoi superiori siano d’accordo. Se succedono queste cose vuole dire che questo sistema si è modificato, perché pensavano che fosse un sistema condiviso. C’è una sorta di ‘liberi tutti'”. E ricorda quanto accaduto ai tempi in cui insegnava al carcere Malaspina di Palermo, quando fu scoperto che gli agenti picchiavano dei giovani detenuti. “Tenga conto che al Malaspina la guerra tra me e gli agenti penitenziari saltò fuori non perché gli agenti torturassero i ragazzi, ma perché picchiarono ad esempio un alunno, perché aveva rivolto frasi erotiche a una docente del corso lavoratori”, ricorda. “Mi chiamarono e da quel momento è successo un casino. Gli agenti di Palermo coi quali c’è stata una guerra non torturavano ma davano punizioni- prosegue – Li portavano alle ‘case popolari’, cioè in isolamento e li picchiavano. Ma sentire che nel 2024 succedono queste cose indica che è il sistema minorile che non funziona”. 

Aurelio Grimaldi critica, poi, il decreto Caivano: “Si pensa solo ad aumentare le pene per i minori che delinquono e prevede sanzioni anche per i genitori dei ragazzi che delinquono – dice – I genitori dei miei alunni di allora, proprio come i genitori di Caivano, compresi quelli delle ragazzine violentate, sono casi limite di un sistema sociale che fa acqua da tutte le parti, sono a loro volta vittime del sistema sociale”. Al momento nel carcere minorile Beccaria, che è solo maschile, sono detenuti 82 ragazzi, a fronte di 70 posti teoricamente disponibili dopo il recente ampliamento della struttura. Solo 11 dei ragazzi detenuti hanno ricevuto una condanna definitiva; tutti gli altri sono in attesa di un processo e sono quindi in custodia cautelare, cioè la detenzione che viene ordinata dal giudice prima del processo o prima della fine delle indagini, se si teme che la persona indagata possa commettere altri reati, scappare o “inquinare” le prove. “Sono numeri altissimi – dice ancora Grimaldi – Se pensiamo che gran parte è in custodia cautelare perché non è mai stato condannato”. 

Intanto, proprio la notte scorsa è scoppiato un incendio nel carcere minorile Beccaria di Milano. I vigili del fuoco hanno impiegato circa tre ore per spegnere l’incendio. Il segretario regionale per la Lombardia del Sindacato Autonomo di Polizia, Alfonso Greco, parla di una “notte di alta tensione” e di “una rivolta che ha coinvolto molti detenuti”. Stando alla ricostruzione del Sap “alcuni detenuti, dopo la mezzanotte, hanno dato fuoco alle suppellettili della cella – afferma Greco – e, una volta usciti, hanno devastato tutto buttando giù blindi e spaccato finestre. Al Beccaria erano presenti solo 4 unità di Polizia Penitenziaria e sono stati richiamati in servizio alcuni agenti per ripristinare l’ordine e la sicurezza dell’istituto minorile. Sono intervenuti i pompieri e altre forze di polizia”. Non ci sono feriti né tra i minori, né tra il personale di polizia penitenziaria. 

Grimaldi ricorda alcune delle scene riprese dei maltrattamenti ai ragazzi detenuti da parte delle guardie penitenziarie arrestate. C’è ad esempio un ragazzino che viene trascinato fuori dalla sua cella e viene preso a calci. Una scena, immortalata dagli occhi elettronici, descritta come “cruenta” in un’annotazione redatta lo scorso 15 marzo dal Nucleo Investigativo regionale della Polizia penitenziaria. Secondo quanto emerge dall’inchiesta, quattro agenti lo avrebbero portato fuori dalla cella e trascinato giù per le scale, mentre uno di loro lo tirava “anche dal braccio sanguinante”. A quel punto, il ragazzo sarebbe stato “spinto contro il muro” e colpito “ripetutamente alla testa e al torace” fino a cadere a terra. Due degli agenti, sotto gli occhi dei colleghi, lo avrebbero quindi preso a calci. Altre “quattro persone, probabilmente sanitari”, dopo avere sentito “il trambusto” si sarebbero spostate nell’infermeria, dove nel frattempo era entrato il 15enne. Una volta riportato in cella con il braccio fasciato, il ragazzo sarebbe stato “nuovamente prelevato” da due agenti e portato “in un ufficio al piano terra”, dove è rimasto “per circa otto minuti”, durante i quali, però, si legge che non vi sarebbero state ulteriori condotte violente. “Torture sudamericane”, taglia corto il regista. 

Aurelio Grimaldi anni fa insegnava al carcere Malaspina, il carcere minorile palermitano. Da quella esperienza nacque, appunto, il libro ‘Meri per sempre’ che divenne un film diretto da Marco Risi e interpretato da Michele Placido. “Ricordo che i ragazzi, che avevano una età media di 16 anni, avevano al massimo la quarta elementare, chi anche meno. E i genitori erano spesso analfabeti”, dice. Quello di poter lavorare in un carcere era una sorta di “desiderio adolescenziale” di Aurelio Grimaldi. Che da bambino aveva vissuto “l’esperienza negativa di quelle colonie estive organizzate per figli di ferrovieri” come lui. 

Al primo anno di insegnamento quando andò a scegliere la sede dei neo-assunti, vincitori di concorso, c’era un posto nel carcere minorile, che oltre tutto non voleva nessuno: “Realizzai immediatamente il mio antichissimo sogno”, dice oggi. Una esperienza “che mi ha salvato la vita da tutti i punti di vista”, aggiunge. “Io stamattina sono stato al carcere di Termini Imerese, dove stiamo girando delle scene del mio nuovo film – racconta – e ho detto alla direttrice del carcere che Enzo Tortora, quando uscì dal carcere, disse ‘Ho capito che il mondo si divide tra chi ha messo piede in carcere echi non lo ha fatto’. Io ho avuto la fortuna di averlo fatto. Un’esperienza fondamentale”. “Un’esperienza molto più forte del previsto perché io immaginavo che dovesse essere costruita sul rapporto tra insegnanti e alunni, invece ho trovato una struttura disumanizzata, Ma mi ha permesso di diventare autore e regista”. 

Il libro ‘Meri per sempre’ era “autobiografico al cento per cento” in cui erano contenuti “anche i temi dei ragazzi che raccontavano le loro storie in prima persona, seguiti da un mio resoconto del primo anno scolastico”. Così il libro venne tradotto in film. Ma lui non se ne andò “con le sue gambe”, come dice, perché “subii delle minacce e mi allontanarono provvisoriamente”. Ma quel provvisorio diventò definitivo. “Ero troppo ingombrante per la nuova direzione…”. Di quella esperienza cosa è rimasto ad Aurelio Grimaldi? “Io sognavo di fare lo scrittore ma insegnare mi piaceva moltissimo. Don Milani è stato importante nella mia vita ma già da bambino, provengo da una famiglia piccolo-borghese, il senso della ingiustizia sociale, pur stando a Luino, lo sentivo forte. Io mi sentivo privilegiato. La mia convinzione era che ci fossero ingiustizie e la scuola può fare tantissimo”.  

“Negli anni trascorsi al Malaspina mi sono reso conto che i ragazzi venivano tutti dai quartieri popolari- dice – Il mio sogno da ex insegnante la scuola come centro sociale, con attività di gioco”. Perché i ragazzi dei quartieri popolari “sono doppiamente colpiti dalla vita”, intanto “perché hanno vissuto in quartieri e situazioni familiari difficili” e poi perché “finiscono in carcere”.  

Aurelio Grimaldi non ha mai interrotto i contatti con molti dei suoi ex alunni detenuti. “Certo alcuni sono tornati in carcere- dice – ma molti mi hanno ritrovato anche grazie a Facebook. Mi capita di incontrarmi con alcuni di loro, che adesso sono sposati e con figli”. (di Elvira Terranova) 

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