Basilicata, Follini: “Non è altro Ohio, voto locale non indica destino Paese”

(Adnkronos) – “E’ il territorio il punto debole della nostra costruzione politica. Infatti i luoghi vengono evocati come simboli di vittorie che si festeggiano altrove e di sconfitte che magari invece vengono fatte impietosamente ricadere sugli indigeni. Così, c’è stata la Sardegna che ha virato a sinistra e poi l’Abruzzo che si è confermato a destra. E ora si annuncia la Basilicata, pronta a diventare per qualche settimana un altro Ohio, laddove si scruta per l’ennesima volta l’oroscopo del duello tra la maggioranza e l’opposizione. Ogni regione, ogni comune, ogni lembo d’Italia, per piccolo che sia, sembra sempre racchiudere in sé l’intero destino politico del paese. 

In tutti questi casi si annunciano conseguenze fondamentali. Che però non vertono quasi mai sulle sorti di quelle comunità chiamate al voto. Ma da cui semmai si fa discendere un vaticinio più o meno apocalittico, ancorché quasi sempre provvisorio, sul derby che centrodestra e centrosinistra si giocano nei palazzi della capitale. Si vince e si perde in nome del governo, del parlamento, della politica nazionale. E quel tanto di attenzione ai temi locali sembra più una svogliata adesione a un galateo rituale che non un modo di indagare nelle mille pieghe di cui è fatto il tessuto della nostra democrazia. 

Peraltro la circostanza più curiosa è che da un lato, con l’autonomia differenziata, si pensa che le regioni possano fare quasi tutto di testa loro e dall’altro però ogni volta che c’è da scegliere un candidato locale si allestiscono caminetti romani nei quali la parola del leader nazionale di turno conta assai più delle indicazioni che provengono dal luogo interessato. 

Così, si resta in attesa che la politica faccia le sue scelte, chiamiamole così, di sistema. E nel frattempo però, col dovuto rispetto, si vorrebbe suggerire ai leader che si apprestano a tuffarsi nei paesini lucani di disfare i loro bagagli e di lasciare che per una volta sia il territorio a raccontare se stesso. Infatti, che vi sia un minimo di discrasia tra le preferenze romane e i numeri locali non dovrebbe destare troppo scandalo. E che si voti con riguardo ai temi del luogo sarebbe pur sempre un segno di salute della nostra democrazia. Pretendere di omologare tutto in modo così uniforme finisce per sottrarre ai cittadini la libertà di scegliere un buon amministratore di un colore e magari la volta dopo di scegliere un deputato o un senatore di un colore diverso. Libertà di cui peraltro non si è mai abusato troppo, a quanto pare. 

Ora, è evidente che dalla somma dei voti locali si potrà sempre ricavare qualche elemento in più sulla tendenza generale: se il governo piace, se i voti oscillano tra destra e sinistra, fin dove arriva la protesta e via dicendo. La nostra è una democrazia dell’ascolto, e del resto i sondaggi monitorano quasi quotidianamente gli orientamenti in atto e le loro modifiche, anche le meno rilevanti. Ma proprio la nostra collettiva attitudine a considerare indicativo o addirittura decisivo il più piccolo segnale che si ascolta in lontananza dovrebbe servire a ricordarci che anche la periferia del paese ha diritto a qualcosa. E cioè a non venir presa sistematicamente in ostaggio e utilizzata al modo di un sondaggio d’opinione sulle sorti della contesa nazionale. 

Noi siamo in un’epoca “glocal” come si usa dire. Nel senso che a contare davvero sono le due dimensioni più estreme. Quella internazionale, planetaria, globale per l’appunto. E quella locale, radicata più in basso, laddove cioè le cose sono più a portata e si possono vedere anche da vicino. Ma sono proprio queste due dimensioni le più neglette. Dato che i due principali cartelli politici sono divisi al loro interno da differenze tutt’altro che irrilevanti sulla politica estera. E dato che le contese locali, anche quelle che sembrano svolgersi in difformità dagli schemi politici che vanno per la maggiore, vengono poi per così dire annegate nell’oceano solcato dai partiti che ne governano le rotte e ne affrontano le tempeste. 

Se per una volta si evitasse di trarre auspici tanto decisivi dal voto che si esprime qua e là forse il confronto politico acquisterebbe una maggiore autenticità e anche un maggior respiro. Anche se è molto difficile che il consiglio venga preso in qualche considerazione”. (di Marco Follini) 

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