(Adnkronos) – “Mio figlio di 6 anni vive a Kherson con la nonna. La città è in mano ai russi e da lì non si esce, perché sparano. Io non riesco a trovare il modo per arrivare là o per far venire loro qua”. Lo racconta all’Adnkronos Vittoriano Talvacchia, abruzzese di Sant’Egidio alla Vibrata, in provincia di Teramo, dopo aver fatto l’ultima telefonata con l’Unità di crisi della Farnesina.
La compagna, ucraina, fa la badante in Italia e così, dopo aver partorito nel Paese natale, ha deciso di affidare il piccolo alle cure della nonna, a Kherson. “Noi gli mandiamo soldi e avevamo deciso di andare a riprendere il bambino. Dovevamo andare a Natale, ma poi per impegni di lavoro della mia compagna abbiamo rimandato il viaggio a dopo le feste. A casa ho i biglietti già prenotati, ma poi è successo quello che è successo e non siamo andati più”, dice Vittoriano senza nascondere il rammarico: “Se fossimo andati, magari ora saremmo tutti qua in Italia…”.
A Kherson, città dell’Ucraina meridionale sull’estuario del fiume Dnpr, “non credevano – racconta – che sarebbe scoppiata questa cosa dalla sera alla mattina. Quando sono iniziati i primi bombardamenti, io li chiamavo e gli mandavo le foto, ma per loro era come se non fosse successo niente, perché ormai dal 2014 si sono abituati ad avere la guerra a 200 chilometri da loro”.
In più c’era esitazione a lasciare la città, “per la paura che gli togliessero le case, anche se la vita viene prima di tutto”, osserva Vittoriano, in costante apprensione per il suo bambino: “Non si va più avanti, il pensiero è sempre lì. Non riesco a combinare niente. La notte siamo in contatto con loro, si dorme poco, è un casino”.
I contatti con la nonna e il bambino non mancano: “La mia compagna è sempre al telefono con la madre. Riusciamo a parlare anche con nostro figlio e vedo anche le foto: dorme dentro la vasca da bagno. All’inizio l’ha presa come un gioco, ma poi con le sirene, le bombe e i militari in giro, si è reso conto”.
A complicare la fuga da Kherson, città in mano russa, sono anche le condizioni di salute della nonna, di 68 anni e cieca da un occhio. “Mia suocera non se la sente di fare il tragitto e non vuole andarsene, perché ha lì la sorella e il bambino non lo consegnerebbe a nessuno, che non siamo io o la mamma”, dice il signor Talvacchia, alla disperata ricerca di “un canale che mi faccia arrivare magari in Transilvania o dalla Russia…”