Israele, ex generale Avivi: “Hamas pericolo anche per Italia, operazione Rafah inevitabile”

(Adnkronos) – Per stabilizzare il Medio Oriente c’è bisogno di una “forte posizione dell’Italia, dell’Europa e degli Usa” contro “l’aggressione iraniana”; le università italiane e la nostra società devono capire “che Israele sta combattendo una guerra di sopravvivenza” contro Hamas, che “è il male assoluto” e fa parte di un’organizzazione, la Fratellanza musulmana, “pericolosa” anche per l’Italia; a Gaza “non c’è una carestia” e l’invasione via terra di Rafah “è inevitabile” per distruggere Hamas a Gaza una volta per tutte, ma “sarà possibile solo se evacuiamo i civili verso le spiagge”. L’ex generale di brigata israeliano Amir Avivi, fondatore e amministratore delegato dell’Idsf (Forum per la difesa e la sicurezza di Israele) parla in un’intervista esclusiva all’Adnkronos mentre la crisi mediorientale entra nel suo momento più caldo, dopo la pioggia di missili israeliani sulla Siria di questa notte. 

I giudici dell’Aia hanno decretato all’unanimità che a Gaza è in corso una carestia e che Israele deve “assicurare senza indugio” e “urgentemente” la fornitura dell’assistenza umanitaria necessaria. La decisione arriva, dopo la risoluzione Onu per il cessate il fuoco a Gaza, sulla quale gli Stati Uniti si sono astenuti mentre silenziosamente il Pentagono collabora con i ministri israeliani. Un momento molto complicato per Israele sul piano delle relazioni internazionali. “Per prima cosa è importante dire che non c’è una carestia a Gaza, c’è un continuo arrivo di aiuti umanitari, sia via cielo che via terra, ma la maggior parte viene presa da Hamas a spese dei civili palestinesi, e Israele ha il dovere di controllare e distribuire gli aiuti senza che essi cadano nelle mani sbagliate”, puntualizza Avivi. Inoltre “non penso che stiamo perdendo sul piano delle relazioni internazionali: tutti, a partire dalla casa Bianca, hanno capito che bisogna distruggere Hamas a Gaza, abbiamo un interesse comune. Ma gli Stati Uniti hanno dubbi sull’operazione in Gaza e Israele dovrebbe presentare agli americani dei piani (che esistono) che si possano attuare per muovere il milione di abitanti che ora è a Rafah. Bisogna ricordarsi che abbiamo già spostato questi abitanti di 40 km, ora dobbiamo muoverli solo di 4 km. E’ una cosa importante, perché non vogliamo operare in un’area piena di civili, e vogliamo portarli in sicurezza vicino al mare, e solo a quel punto potremo operare in Rafah”. 

Il presidente americano Joe Biden ha affermato che l’Arabia Saudita e altri Paesi arabi (tra cui Egitto, Giordania e Qatar) sono “pronti a riconoscere pienamente Israele” per la prima volta, spiegando che però deve esserci “un piano post-Gaza” e “una soluzione a 2 Stati”. Siamo vicini a una svolta per Gaza o è solo una speranza dell’inquilino della Casa Bianca? “Abbiamo visto con gli accordi di Abramo che i Paesi sunniti moderati (come gli Emirati) hanno normalizzato le relazioni con Israele e firmato un accordo di pace senza cercare una soluzione alla crisi israelo-palestinese”, osserva l’ex generale israeliano, secondo il quale “ci sono tante motivazioni per cui il mondo sunnita vuole fare un accordo di pace con Israele”, tra queste “la creazione di una alleanza che possa bilanciare la minaccia cinese-russo-iraniana che vediamo ora in Medio Oriente. Penso che Israele debba presentare dei prospetti su come sul medio-lungo termine si possa ricostruire Gaza, ma ogni tentativo di connettere la normalizzazione dei rapporti con il mondo musulmano e lo Stato (morto prima di nascere) palestinese sarebbe un grande errore”. 

 

Avivi boccia l’ipotesi, caldeggiata dagli Stati Uniti, di creare una forza militare internazionale per mantenere la pace nella regione una volta terminata la guerra: “Penso che Israele debba essere l’unico responsabile per la sua sicurezza. Vedo però una possibilità di lavorare con la comunità internazionale, soprattutto gli Emirati Arabi Uniti, per quanto riguarda la de-radicalizzazione della popolazione per la ricostruzione civile di Gaza, ma non dal punto di vista militare”: quello, precisa, deve essere solo appannaggio di Israele. A chi gli chiede se, alla luce dei raid israeliani in Siria, si stia andando verso un’estensione del conflitto, l’ex generale risponde: “Israele sta combattendo su 7 fronti diversi, tutti fomentati dall’Iran. Stiamo combattendo contro le milizie iraniane di Hezbollah, Hamas, in Siria, in Yemen, in Iraq e contro le forze iraniane in Siria e Libano che vogliono fare installazioni militari sulla frontiera israeliana sulle alture del Golan. Quello che Israele sta facendo in Siria è prevenire l’arrivo di armi sofisticate dall’Iran a Hezbollah e combatte le forze iraniane sulle alture del Golan. Possiamo provarci da soli – spiega Avivi -, ma dovremmo avere una coalizione internazionale che blocchi questi tentativi di destabilizzazione dell’Iran”. 

Nel frattempo in Cisgiordania è nato il nuovo governo palestinese, guidato dal primo ministro dell’Anp (l’Autorità nazionale palestinese) Mohammad Mustafa, il quale ha dichiarato di voler lavorare “con l’obiettivo di unificare le istituzioni e per riprendere l’autorità sulla Striscia di Gaza”. Ma per Avivi l’Anp “non è la soluzione, bensì parte del problema”: “Il governo israeliano – sottolinea – è stato chiaro: a Gaza non ci sarà Hamas, no Jihad Islamica e no Anp. Perché? Perché l’Anp paga miliardi ai terroristi tramite la legge ‘pay for slay’, stanno creando una società di estremisti. La loro ideologia chiede a gran voce la distruzione dello Stato di Israele. Se vogliamo un futuro diverso, dobbiamo pensare fuori dagli schemi, dobbiamo lavorare con le leadership locali dei palestinesi. Ci sono clan che vogliono lavorare con noi per far prosperare le loro città, perché imporre di nuovo un’autorità che non vogliono? Solo lavorando con le famiglie locali ci sarà la possibilità di un futuro di pace tra Israele e i palestinesi”. 

La Corte Suprema israeliana ha bloccato i fondi agli ebrei ortodossi delle scuole religiose che si oppongono alla leva obbligatoria. La decisione sta creando forti tensioni nel governo Netanyahu, che si regge su due partiti religiosi. Quanto è solido l’esecutivo israeliano? “Questo è sicuramente un tema delicato. Da una parte – dice il fondatore dell’Israel’s Defense and Security Forum – c’è la maggioranza della società israeliana che sta difendendo la sua nazione, dall’altra parte ci sono gli ultra-ortodossi che sono stati educati agli studi della Bibbia. Abbiamo visto che con il 7 ottobre questa attitudine delle comunità ultra-ortodosse sta cambiando, molti hanno fatto richiesta di entrare a far parte dell’esercito. La società ultra-ortodossa sta cambiando molto velocemente e l’Idf sta facendo di tutto per accontentare le sue richieste all’interno dell’esercito. Si troverà una soluzione molto presto. Non ci sono ripercussioni sul governo”. 

⁠La premier italiana Giorgia Meloni si è recata in Libano per la prima volta per “portare un messaggio chiaro sulla necessità di evitare ogni pericolo di peggioramento della situazione lungo il confine con Israele”. E’ soddisfatto del sostegno del governo italiano a Israele dopo i fatti del 7 ottobre? “Apprezzo molto lo sforzo del governo italiano e l’appello del vostro primo ministro, Meloni, di applicare la risoluzione 1701 dell’Onu (che prevede la cessazione delle ostilità nel conflitto tra Israele e milizie sciite libanesi di Hezbollah, ndr.). La ringrazio per questo. L’Italia ha capito che quello che Israele sta facendo è combattere contro l’Iran su 7 diversi fronti. Tutti i nostri nemici sono milizie iraniane. Spero che lo sforzo dell’Italia abbia effetto perché ci sono migliaia di persone che non possono tornare a casa nel nord di Israele e se lo sforzo diplomatico non avrà effetto allora saremo destinati ad andare in guerra”, rimarca Avivi, che osserva: “Questa guerra a nord potrebbe destabilizzare tutto il Medio Oriente e non è interesse né di Israele né dell’Italia né dell’Europa o degli Usa. Se vogliamo stabilizzare la regione dobbiamo avere un forte posizione dell’Italia dell’Europa e degli Stati Uniti contro l’aggressione iraniana”.  

Nelle Università italiane cresce la protesta contro Israele: la Normale di Pisa, per esempio, ha chiesto lo stop all’accordo con Tel Aviv. E all’ultimo festival di Sanremo un cantante ha apertamente parlato di “genocidio”. L’appoggio dell’opinione pubblica europea, giovani in primis, alla causa israeliana è irrimediabilmente compromesso? “Quello che la società italiana deve capire è che noi stiamo combattendo una guerra di sopravvivenza contro il male assoluto: Hamas ha decapitato bambini, ucciso donne, stuprato. Questo è un diritto base di ogni nazione. Hamas fa parte della Fratellanza musulmana che è attiva ed è un pericolo anche in Italia. Hamas e la Fratellanza musulmana sono un pericolo per tutto l’Occidente. Sicuramente alcuni non lo capiranno ma – conclude l’ex generale – sono confidente che la maggioranza della popolazione italiana sia dalla parte di Israele”.  

(di Antonio Atte) 

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