Israele-Hamas, gli Usa pensano al ‘day after’: quale futuro per Gaza?

(Adnkronos) – Mentre hanno dato la luce verde alla seconda fase dell’offensiva israeliana a Gaza, gli Stati Uniti insistono nel voler pianificare “il day after” della fine del conflitto nella Striscia, fine che, secondo Israele, potrà arrivare solo dopo l’eliminazione di Hamas. Gli israeliani però continuano a ripetere che non intendono rioccupare Gaza, mentre i Paesi arabi resistono all’idea di una coalizione di Paesi dell’area che gestisca il dopo conflitto. L’Anp di Mahmoud Abbas sarebbe pronta al compito, ma molto probabilmente i palestinesi di Gaza, e non solo, non lo vorrebbero.  

Gli Stati Uniti si trovano nella situazione di dover cercare la migliore tra le peggiori opzioni per scegliere a chi affidare – a conflitto terminato – la Striscia – 365 kmq con oltre 2 milioni di abitanti – distrutta e devastata da settimane di bombardamenti che hanno fatto decine di migliaia di vittime, alla fame, con infrastrutture annichilite, rischio di epidemie che, secondo l’Onu, potrebbero fare più vittime di bombardamenti. E sfollamenti interni che hanno costretto centinaia di migliaia di palestinesi a lasciare le loro case a cui non si sa se potranno mai tornare.  

Durante la sua ultima visita nella regione, la quarta dall’inizio del conflitto, il segretario di Stato Usa, Antony Blinken ha cercato di affrontare le discussioni sul dopo, ma non ci sono risposte facili. L’amministrazione Biden continua a spingere per un’Autorità nazionale palestinese rivitalizzata come amministratrice di Gaza, ma l’idea non entusiasma il governo israeliano e neanche molti palestinesi. Washington riconosce le obiezioni, ma insiste nel considerare questa come la migliore, se non l’unica, in una lista di opzioni peggiori, tra le quali spicca il ritorno di un’occupazione diretta degli israeliani.  

“Non ci illudiamo che sarà facile, sicuramente ci saranno disaccordi strada facendo”, ha detto Blinken parlando ai giornalisti a Tel Aviv la settimana scorsa, sottolineando che “l’alternativa, più attacchi terroristici, più violenza, più innocenti che soffrono, è inaccettabile”. Il fatto è che il dichiarato obiettivo di Israele, l’eliminazione militare e politica Hamas, responsabile degli attacchi del 7 ottobre con l’uccisione di almeno 1200 israeliani, potrebbe rivelarsi molto più difficile.  

Al governo della Striscia dal 2007, in questi 15 anni Hamas ha inserito i suoi sostenitori in ogni settore della società, non solo quelli governativi. ma della gestione dell’economica, della sanità, delle infrastrutture idriche ed elettriche e del commercio. Ha il controllo della polizia locale, compresa quella del traffico, dei tribunali, delle moschee, delle associazioni sportive, delle municipalità e gruppi giovanili.  

A quasi due mesi dall’inizio del conflitto, e dei bombardamenti israeliani, la popolarità di Hamas rimane intaccata: gli stessi funzionari Usa, pur addossando al gruppo la responsabilità della disperata situazione umanitaria a Gaza per gli attacchi compiuti il 7 ottobre, riconoscono che la violenza dell’offensiva israeliana ha infiammato la rabbia dei palestinesi. La mancata protezione dei civili “può guidarli nelle braccia dei nemici”, ha dichiarato sabato scorso lo stesso capo del Pentagono Lloyd Austin.  

Pur affermando di non voler tornare all’occupazione di Gaza, gli israeliani stanno discutendo la realizzazione di una zona cuscinetto lungo il confine con Israele e l’accesso delle forze israeliane nel territorio per un periodo di transizione che annullerebbe parte dell’autonomia dei palestinesi. L’amministrazione Biden però si oppone ad ogni restrizione dell’uso del territorio da parte dei residenti di Gaza e vorrebbe che le forze israeliane affidassero ad una coalizione internazionale, possibilmente formata da nazioni arabe, la sicurezza del territorio.  

Con Israele che vede come il fumo negli occhi l’idea di peacekeeper sotto l’egida dell’Onu, contro il quale svariate volte si è scagliato in queste settimane il governo di Tel Aviv, anche le nazioni arabe sono profondamente scettiche riguardo all’invio di propri contingenti, perché non vogliono trovarsi nella situazione di dover sedare eventuali rivolte palestinesi. “Un funzionario arabo mi ha detto ‘immagina un video di nostri soldati che sparano a palestinesi e viceversa'”, spiega Ghaith al-Omari, analista del Washington Institute for Near East Policy ed ex consigliere di negoziatori palestinesi, secondo il quale il coinvolgimento dei Paesi arabi può avvenire solo nell’ottica della formazione dello stato palestinese. Le nazioni arabe “hanno bisogno di una cornice, della cornice della soluzione dei due stati, perché in questo modo potrebbero dire ‘lo stiamo facendo per sostenere i palestinesi”.  

E quindi si arriva alla soluzione che l’amministrazione Biden considera a lungo termine, della soluzione dei due stati e del ruolo dell’Anp. Ma il fatto, sottolinea Dennis Ross, ex consigliere di lungo corso sul Medio Oriente sia di amministrazioni democratiche che repubblicane ed ora al Washington Institute, i palestinesi dell’Anp “non solo non possono tornare a Gaza sulle spalle dei tank israeliani, ma al momento non sono neanche in grado di gestirsi da soli”.  

L’88enne Abbas, al 18esimo anno di un mandato che dovrebbe essere di quattro anni, viene visto come ormai stanco e privo di influenza per i palestinesi. “L’Autorità viene considerata come corrotta e manca di sostegno tra i palestinesi”, afferma said Shawqi Issa, attivista per i diritti umani di Betlemme ed ex membro dell’Anp. In particolare, in Cisgiordania le forze di sicurezza palestinesi vengono accusate non solo di non proteggere i palestinesi ma per anche di finire per dare assistenza all’occupazione israeliana.  

Per questo dagli Usa continua ad arrivare l’esortazione per un’Anp rinnovata e rinforzata, anche se i funzionari non affermano esplicitamente che Abbas se ne debba andare, anche per non entrare nel terreno minato della successione. Ma gli americani esprimono però idee per riforme di base, a cominciare ad quelle elettorali, “per rispondere in modo efficace alle esigenze del popolo palestinese”, come ha detto Blinken dopo aver incontrato Abbas giovedì scorso.  

Per il segretario di Stato Usa, l’Anp deve combattere la corruzione, aprirsi alla società civile, sostenere media indipendenti, e, ma come ultimo passo, far scegliere la leadership agli elettori: “noi sosteniamo libere e giuste elezioni in tutto il mondo, anche per i palestinesi, ma ci deve essere un processo, qualcosa di cui parliamo mentre ci muoviamo dal conflitto e che abbiamo chiamato il ‘day after'”.  

Una cautela dovuta anche al timore che elezioni ora per i palestinesi potrebbero segnare una netta vittoria di Hamas. “Il palestinese medio in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza non vede i suoi problemi risolti fino a quando non finirà l’occupazione e i palestinesi otterranno i propri diritti: tutte le discussioni su soluzioni temporanee non affrontano il problema principale”, conclude l’attivista palestinese Issa. 

(Adnkronos)