(Adnkronos) – “Gli studi ci dicono che per sostenere occupazione e fecondità occorre agire su tre macro-leve: garantire un’occupazione, sostenere la cura dei figli con la conciliazione e condivisione dei tempi di vita e di lavoro e cambiare a livello culturale”, favorendo la parità di genere. Così Rossella Riccò, responsabile Area studi e ricerche Fondazione Gi Group, illustrando, oggi, nel corso di un evento a Milano, i risultati dello studio ‘Donne, lavoro e sfide demografiche. Modelli e strategie a sostegno dell’occupazione femminile e della genitorialità’, di Fondazione Gi Group e Gi Group Holding, realizzato in collaborazione con Valore D.
“Garantire occupazione – continua Riccò – significa che a livello statale occorre lavorare e investire per creare un mercato del lavoro che sia innanzitutto regolare, uscire dal mercato nero, che già lo studio fatto l’anno scorso mostrava livelli spaventosamente alti. Fare un mercato del lavoro dinamico e aperto, flessibile nei tempi e nei modi, attento alle esigenze di conciliazione – che preveda smart working, part time reversibile – ma anche redditizio, in cui gli stipendi siano medio-alti per garantire alle persone di fare scelte di garanzia di sicurezza verso il futuro guardato con speranza e generare vita”.
Per sostenere la cura, “servono i servizi garantiti e distribuiti sul territorio, di qualità, a costi accessibili e diversificati, non solo asili nido – spiega l’esperta – In paesi come Germania e Svezia c’è tutto il tema delle ‘tagesmutter’, cioè di servizi privati che, in gruppi più piccoli si occupano dell’educazione dei bambini. Quindi, finanziare i servizi di cura in capo alle famiglie, dare economicamente un sostegno per coprire i costi connessi ai servizi di cura. L’utilizzo effettivo del congedo parenterale di dieci giorni è al 60-64%. Noi oggi abbiamo un mese pagato all’80% e il resto è il 30%. Con un pagamento al 30% visto che prenderei troppo poco, chi ha lo stipendio più basso tende a stare a casa e, statisticamente questo succede soprattutto per le donne”.
Il nostro Paese “vede un investimento in spesa pubblica per famiglie con bambini dell’1,2% rispetto al dato europeo di 2,4% e un 3,6% della Germania di 3,6% – illustra Riccò – Gli investimenti per le famiglie, nel nostro paese è pari al 15% mentre ci sono paesi come la Spagna e la Svezia che hanno un valore superiore al 50% della spesa diretta ai servizi e la Germania ha il 49%”. Come è noto “le soluzioni che portano maggiori effetti nel lungo periodo su fecondità e occupazioni, sia sulla partecipazione al lavoro che sulla fecondità, sono gli investimenti fatti in servizi, cioè nel dare alle donne e alle famiglie, o delle coppie italiane, la possibilità di scegliere se stare a casa e poter gestire in autonomia i figli o coinvolgere i nonni o poter avvalersi di un servizio che è educativo. In Italia abbiamo meno servizi e più costosi degli altri paesi”.
In Italia “la combinazione di congedi ben pagati, vuol dire pagati almeno al 65%, con la garanzia di posti nei nidi o nella prima infanzia, quindi che coprono il bambino da quando nasce a quando entra nella scuola obbligatoria, è la più bassa in assoluto – sottolinea l’esperta – Siamo l’unico Stato in Europa, oltre a Malta, Irlanda e Islanda, a non garantire il servizio educativo e sociale per i bambini nell’età 0-6 anni. Cosa fanno invece Germania e Svezia? La combinazione di congedi maternità e parentali ben pagati, la copertura e la garanzia dei servizi. Questo va a rendere pari al zero la necessità di scelta da parte delle famiglie, dall’età di zero anni all’ingresso nella scuola dell’obbligo. La Germania rende obbligatorio per i bambini l’entrata in una scuola dell’infanzia dai 3 anni ed è gratuito”.
Come terzo elemento, “serve l’investimento in un cambiamento culturale – afferma Riccò – con un percorso educativo che faccia proprio il tema della parità di genere, della condivisione dei carichi di cura, di lavoro, di domestico, fin dalle scuole, lavorare per favorire l’empowerment femminile, investire per la condivisione più paritaria fra uomo e donna, quindi sul congedo di paternità, su incentivi a quelle aziende che si impegnano, nel rendere possibile e sviluppare la parità. La certificazione di parità di genere è un intervento che va in questa direzione. Ovviamente questo non basta, non spetta solo allo Stato, tutti hanno un ruolo. Le aziende – conclude – possono sicuramente fare tanto, così come le singole persone nelle proprie scelte di equilibrio interno alla coppia”.