(Adnkronos) – “Anche il cuore dei banchieri centrali viene usato, qualche volta”. Le parole che Mario Draghi usa per ringraziare la Camera dopo il lungo applauso che ha aperto le sue stringate comunicazioni, e l’annuncio delle dimissioni che portano alle elezioni anticipate, aiutano a raccontare un altro lato dell’esperienza di governo che si chiude oggi e anche un altro lato del ‘personaggio’ Draghi. Il suo profilo è stato delineato, scritto e declamato talmente tante volte da risultare anche abusato, sia da chi ne ha sempre esaltato le qualità sia da chi ne ha contestato le scelte.
Il cuore, e la mente, di un banchiere centrale sono stati messi al servizio della politica per diciassette mesi. Del rapporto tra l’ormai ex premier e i partiti si è detto molto. Draghi è un tecnico che ha frequentato molto la politica nei suoi principali incarichi precedenti, da direttore generale del Tesoro, da governatore della Banca d’Italia e da presidente della Bce. Non è un politico, non lo è mai stato e difficilmente lo sarà nel suo futuro. In alcuni passaggi ha anche dimostrato di avere poca dimestichezza con le regole non scritte della politica, quelle che impongono cautele e precauzioni, e che invece ha scelto di non assecondare, o che non ha saputo assecondare.
Il rapporto con il Parlamento è stato però impostato secondo una sincera, e non solo formale, attenzione ai rapporti istituzionali. Quando Draghi, come ha fatto ieri al Senato, dice “la democrazia è parlamentare ed è la democrazia che rispetto e in cui mi riconosco” non usa una formula di facciata. Allo stesso tempo, c’è un elemento che Draghi nell’approccio al suo ruolo non ha mai ritenuto negoziabile, dalla chiamata di Mattarella all’epilogo di queste ore: è lo spazio necessario per fare quello che ritiene giusto fare.
E’ la l
ogica del ‘whaterver it takes’, inteso nella sua accezione più autentica ‘fare tutto quello che è necessario’, che da premier, cercando faticosamente di tenere insieme cuore e mente, non ha mai voluto rinnegare. Si è fermato quando ha capito che non avrebbe più potuto fare quello che avrebbe ritenuto giusto fare. E qui torna in gioco il rapporto tra la dimensione tecnica e quella politica. Il tecnico, il banchiere centrale, non vede alternativa e si ferma; il politico, prima di abdicare, è disponibile a negoziare e a favorire il compromesso.
Non è detto che la ragione sia sempre da una parte e neanche che Draghi abbia fatto la scelta giusta. E va riconosciuto come nel giudizio su di lui la tentazione agiografica abbia diverse volte prevalso sull’analisi obiettiva. Ma difficilmente si può negare che nelle condizioni date, la palese ingovernabilità di una legislatura passata per tre governi e la difficilissima congiuntura innescata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, Draghi abbia rappresentato la migliore carta tecnica che l’Italia potesse giocare. E che è stata bruciata nonostante, nell’ordine più corretto, la mente e il cuore del banchiere centrale potessero servire ancora.
(di Fabio Insenga)