Migranti, la storia di Lillo e Seydou: “Vi racconto mio figlio venuto dal mare”

(Adnkronos) –
Seydou del mare ha ancora paura. “E’ un trauma che non è riuscito a superare. Non sa nuotare, non ha mai voluto imparare”, dice papà Lillo. Il mare, però, Seydou lo ha attraversato. Da solo, 16enne, poco più che bambino. Su una carretta partita dalla Libia, insieme ad altri 100 compagni di viaggio, ha sfidato le onde per raggiungere l’Europa. “E’ il figlio maschio arrivato dal mare. Guai a chi lo tocca”, dice all’Adnkronos Lillo Maggiore, lampedusano doc. 

Sulla più grande delle Pelagie, Seydou è arrivato il 10 gennaio del 2014. Era stato soccorso dalla missione ‘Mare nostrum’ e portato prima ad Augusta e dopo a Messina in una comunità per minori. “Io avevo fatto un corso per l’affido con l’associazione Ai.bi”, dice Lillo. Già in passato la famiglia Maggiore aveva spalancato le porte della propria casa. Lo aveva fatto, ad esempio, con Alex e Teame, entrambi eritrei ed entrambi scampati alla morte nel tragico naufragio del 3 ottobre 2013, in cui 368 persone persero la vita a poche miglia dalle coste di Lampedusa.  

“Quella è stata la scintilla che ci ha portato al desiderio di aiutare un minore”, ammette papà Lillo. Alex e Teame a casa sua rimasero per quattro mesi. Poi arrivò la partenza. “Fu come dire addio a due figli. Fu molto doloroso”. Una partenza che, però, segnò l’inizio di una nuova vita. “Quando Seydou è arrivato in affido è stata una grande festa. Le mie figlie lo hanno accolto come un fratello che veniva da lontano e che non vedevano da tanto. Un’emozione indescrivibile, abbiamo pianto e gioito insieme per quel dono”.  

All’inizio non è stato facile. “Seydou non parlava italiano, avevamo qualche difficoltà a comprenderci. Ma lo abbiamo subito iscritto a scuola, non ci era mai andato. Ha imparato subito la nostra lingua”. Dopo sei mesi è arrivata la licenza di scuola media e poi il diploma all’istituto alberghiero. “Amava il calcio e così lo abbiamo iscritto a un’associazione sportiva. Abbiamo fatto quello che una famiglia normale fa per un figlio, dare uno svago oltre allo studio”, dice Lillo, assistente amministrativo all’Istituto Luigi Pirandello di Lampedusa. 

Oggi Seydou ha 25 anni e lavora in un supermercato a Lampedusa. “Un contratto full time a tempo indeterminato. E’ felice e perfettamente integrato. Vive con noi, è nostro figlio a tutti gli effetti”, dice con orgoglio papà Lillo. In Senegal ha lasciato la sua famiglia di origine. “Con loro è rimasto in contatto, per loro è un punto di riferimento. Anzi, è proprio grazie al suo lavoro qui che riesce a mantenerli in Senegal”. Dal suo Paese è partito per aiutarli. “Vivevano in uno stato di povertà massima. Si sono affidati a lui”. Un viaggio difficile. “Ha attraversato quattro Stati per arrivare in Libia e imbarcarsi. Del mare ha ancora paura. E’ un trauma che non ha superato. Ci ha raccontato che quando è salito sul gommone le onde erano alte. ‘L’imbarcazione oscillava, abbiamo avuto paura di morire’, ci ha detto”.  

Nei giorni scorsi, quando la piccola isola al centro del Mediterraneo è tornata a riempirsi di migranti – 112 sbarchi in sole 24 ore e oltre 7mila persone arrivate – Lillo ancora una volta ha spalancato le porte di casa. E aperto il suo cuore. “Abbiamo preparato da mangiare e aiutato un gruppo di ragazzi, arrivavano dal Burkina Faso e dal Gambia. Il cibo lo hanno divorato. Erano affamati. E mentre mangiavano non finivano mai di ringraziare”. A Lampedusa in questi giorni sono tornati anche Alex e Teame. Per quattro mesi, subito dopo il tragico naufragio del 3 ottobre, in Lillo e nella sua famiglia hanno trovato un porto ‘sicuro’. “Quella mattina li incontrai per strada, ancora sotto choc e con le lacrime agli occhi. Alex aveva perso il suo migliore amico. Li ho portati a casa, ho dato loro da mangiare e li ho tranquillizzati”. Da quel giorno entrambi sono tornati da Lillo. “Ho dato loro le chiavi di casa, venivano la mattina e la sera tornavano all’hotspot a dormire. Mangiavamo insieme, sapevano i nostri orari. Eravamo una vera famiglia”.  

Ieri sera Alex e Teame hanno potuto incontrare di nuovo papà Lillo. “Ci siamo abbracciati e stretti forte, una grande emozione, non sono riuscito a trattenere le lacrime”. Oggi entrambi vivono all’estero. “Alex in Olanda, si è sposato e ha tre bambini, Teame in Norvegia e ha due bimbi. Sono i nostri nipotini”, sorride Lillo con la tenerezza del ‘nonno’. Poi lo sguardo si fa cupo. “A distanza di 10 anni da quel tragico naufragio non è cambiato nulla – dice -. Ancora oggi contiamo i morti. Nel Mediterraneo si continua a morire, in quel mare si susseguono le stragi. Una dopo l’altra. E intanto si continua a percorrere la via sbagliata. Gli accordi con la Tunisia e la Libia? Non si può pensare di dare dei soldi per bloccare le partenze”.  

“Bisogna investire nei Paesi di provenienza, cercare collaborazioni lì per offrire a chi parte un’alternativa, un futuro – sottolinea -. E a chi dice che i migranti rubano il lavoro ai nostri figli rispondo che questi ragazzi fanno lavori che noi italiani ci rifiutiamo di fare. Se sulle nostre tavole troviamo ciò che mangiamo dobbiamo dire loro ‘grazie'”. Una vita senza Seyou papà Lillo non riesce proprio a immaginarla. “Per me è impensabile. Lui è il mio terzo figlio, il figlio maschio venuto dal mare…”. (di Rossana Lo Castro)  

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