(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – “La barca procedeva molto lentamente e noi avremmo voluto chiedere l’intervento dei soccorsi ma chi conduceva la barca per tranquillizzarci ci faceva vedere su un tablet che saremmo arrivati a breve”. A raccontarlo agli investigatori della Guardia di Finanza che indagano sul naufragio nell’inchiesta coordinata dal Procuratore di Crotone Giuseppe Capoccia è un superstite del naufragio, sentito pochi giorni fa.
“Dopo cinque giorni di navigazione – prosegue – sapevamo di essere in prossimità delle coste italiane, quando ho sentito un forte rumore, e da una falla nello scafo abbiamo cominciato a imbarcare acqua. Il livello di acqua sottocoperta è salito molto rapidamente generando il caos a bordo. Salito in coperta, mi sono ritrovato in acqua e mi sono aggrappato a un pezzo di legno. La corrente mi ha spinto via”.
Poi racconta ancora che al timone della barca affondata davanti alle coste di Steccato di Cutro (Crotone) “si alternavano due soggetti che parlavano esclusivamente il turco, sia due che parlavano alternativamente turco e arabo, di questi non ho certezza dello Stato di provenienza. Oltre a questi soggetti vi erano anche due persone di nazionalità pakistana che, ricevendo ordini dai turchi, ci indicavano quando poter salire in coperta per prendere una boccata di aria o per esigenze fisiologiche”.
“Tante volte ho avuto paura che l’imbarcazione potesse affondare a causa del mare mosso e delle precarie condizioni della barca, infatti spesso chiedevo di salire in coperta per chiedere se gli scafisti fossero sicuri che la barca sarebbe arrivata” è il racconto di un altro superstite. Sentito nei giorni scorsi dagli investigatori, il sopravvissuto mette a verbale, come visionato dall’Adnkronos, quanto accaduto quella notte prima dello schianto. “Uno di loro mi diceva di stare tranquillo perché aveva 15 anni di esperienza in quei viaggi”.
“Ho sempre avuto paura che l’imbarcazione potesse imbarcare acqua perché le condizioni del mare non erano delle migliori e le donne e i bambini impauriti, in queste circostanze, hanno sempre pianto e gridato aiuto, perché si temeva che la barca potesse affondare in mare aperto” è un’altra testimonianza di un superstite che aggiunge altri tasselli importanti alla ricostruzione dei magistrati di Crotone che indagano sul naufragio e sui quattro presunti scafisti finiti in carcere. “L’imbarcazione era in condizioni pessime e non siamo mai stati equipaggiati con nessun giubbotto di salvataggio o altro sistema di salvataggio”, aggiunge ancora.
“Quando gli scafisti hanno sentito che chiedevamo aiuto hanno cercato di fuggire, io ho provato a bloccarli e in particolare ho cercato di fermare un turco, ma questi mi ha strattonato e si è tuffato in acqua. Ho provato la stessa cosa con l’altro turco ma lui è riuscito a spingermi tuffandosi in acqua anche lui. I due turchi sono fuggiti a nuoto. Ho provato a bloccare anche il cittadino siriano ma mi è sfuggito” racconta, tra le lacrime, ancora emotivamente provato, un cittadino afghano sopravvissuto alla strage.
Sentito nei giorni scorsi dagli investigatori che hanno messo a verbale le sue dichiarazioni, ha raccontato quanto accaduto quella notte tra il 25 e il 16 febbraio. “Infine sono riuscito a bloccare un terzo turco ma solo per pochi istanti, perché ho dovuto mettermi in salvo. Poi l’ho rivisto sulla spiaggia nascosto in mezzo agli altri migranti fino a quando tutti i migranti lo hanno additato come responsabile della tragedia. Poco dopo sono arrivate le forze di Polizia che lo hanno fermato”.
L’ODISSEA DALL’AFGHANISTAN – “Dopo una settimana dall’occupazione dei talebani dell’Afghanistan, il 15 agosto del 2021, ho lasciato il mio paese per andare da Kabul per raggiungere la provincia di Nimruz in autobus, una provincia dell’Afghanistan e da lì entrare clandestinamente in Iran, tramite i trafficanti”. Inizia così il racconto di un superstite del naufragio. Sentito lo scorso primo marzo dagli investigatori, come si legge nei verbali visionati dall’Adnkronos, ha raccontato la sua odissea per arrivare in Europa dopo l’arrivo dei talebani in Afghanistan.
“Sono stato due mesi a Sanandaj, una provincia dell’Iran a casa di un amico – prosegue – Il mio amico ha contattato dei trafficanti per organizzare il viaggio clandestino in Turchia. Sono arrivato in Turchia a ottobre del 2021. Da quel mese sino alla partenza per l’Italia, sono stato cinque mesi in cerca di un lavoro, senza trovarne, poi tramite un amico di mio zio che aveva aperto un negozio di vestiti afghani, ho iniziato a lavorare al suo negozio fino a quando non ho intrapreso il viaggio degli ultimi giorni verso l’Italia. Mentre ero lì, a Istanbul, nelle vicinanza del negozio di generi alimentari di mio zio c’era l’ufficio di un trafficante e mio zio mi ha detto che un suo amico si era rivolto a questo ufficio per organizzare un viaggio in Italia e che questo viaggio era andato bene. Così mio zio mi ha proposto di rivolgermi a lui per arrivare anche io in Italia. Dopo avere pensato un pochino perché la mia famiglia era contraria alla mia partenza, ho accettato la proposta di mio zio e gli ho detto di voler partire. Mio zio si è messo in contatto con questo dell’agenzia che ha organizzato tutti i dettagli del mio viaggio”.
“Una settimana fa circa mio zio mi ha contattato dicendomi di preparare subito lo zaino e di recarmi a un indirizzo che gli era stato dato dal cittadino. Cosa che io ho fatto e mi sono recato in una zona di Istanbul che si chiama Suttan Chaplik, dove mi sono recato presso una ‘Safe house’. Qui, quando sono arrivato, c’erano solo tre cittadini, due dei quali hanno fatto il viaggio con me”. Poi il viaggio verso Cesme. “Prima di noi era partito un altro camion con altre 90 persone, sempre dirette alla località di partenza per l’Italia. Erano le 20-21 del 21 febbraio quando ci hanno fatto scendere nella foresta dopo 3 ore di cammino a piedi siamo arrivati nei pressi della spiaggia. Ci hanno fatto salire su una imbarcazione bianca lungo 15-18 metri a due piani e alle 3 del 22 febbraio siamo partiti con a bordo 180 persone circa”.
Al timone un cittadino turco, secondo il racconto del superstite. “Arrivati all’imbarco c’erano due cittadini turchi. Al termine dell’imbarco, i due turchi che ci avevano fatto salire sono rimasti a terra e il viaggio è iniziato con altri due”. Ma dopo essere saliti i migranti sentono puzza di carburante. “Ma due membri dell’equipaggio ci hanno detto di non preoccuparci”, spiega. Poco dopo l’arrivo della seconda imbarcazione, “di dimensione più grande”. A bordo tre persone “delle quali due di nazionalità turca e una siriana”.