‘Ndrangheta, grazia parziale ad Ambrogio Crespi: “Questa è la giustizia in cui credo”

”Devo ringraziare il presidente Sergio Mattarella, un uomo che è stato colpito dalla mafia e che è un simbolo forte, e il ministro della Giustizia Marta Cartabia. Sono stati straordinari hanno dato un segnale di cambiamento con un atto di grande coraggio. Ringrazio anche il Tribunale di Sorveglianza di Milano che per primo ha detto quello che io sono veramente”. Lo dice all’Adnkronos Ambrogio Crespi, che ieri ha ricevuto la grazia parziale dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Questa è la giustizia in cui ho sempre creduto e che oggi ho preso in parte”, aggiunge il regista.  

Crespi era stato condannato a sei anni di reclusione per concorso in associazione di tipo mafioso, per fatti commessi dal 2010 al 2012, per il quale è stata disposta una riduzione della pena di un anno e due mesi. Il regista che ha fatto in totale 306 giorni di carcere, “200 giorni nel 2012 – ha spiegato – e 106 giorni nel carcere di massima sicurezza” di Opera a Milano, è stato scarcerato a giugno scorso.  

”Non era facile darmi la grazia – sottolinea Crespi – anche se ho sempre sostenuto la mia innocenza e percorrerò tutte le strade possibili per dimostrarla, anche provando a riaprire il processo, perché come tutti sanno io sono un uomo innocente”. “Sono 9 anni che mi chiedo perché con me sia stato fatto questo grande errore, il problema è che non riesco mai a trovare una risposta -dice ancora Crespi-. L’unica risposta che io ho potuto dare è quello che sono e quello che ho fatto contro la mafia culturalmente, quello che ho fatto quando ero fuori e anche quando ero dentro: in carcere ho sempre dato la dimostrazione che ero contro la mafia senza paura. Dando un segnale di legalità e di cambiamento anche ai detenuti. Secondo me se si trovano dei percorsi giusti si può cambiare, anche i detenuti possono cambiare, non tutti, ma molti possono percorrere la strada della legalità per andare contro la mafia. E’ quello che ho dimostrato con i progetti e con i documentari che ho fatto”. 

“Quando ho avuto il differimento di pena, la prima cosa che ho fatto è stata chiamare il Comune di San Luca per portare la proiezione del film ‘Terra Mia’ che è contro la ‘ndrangheta e in piazza ho detto pubblicamente che infame è lo ‘ndranghetista e non chi denuncia. E’ questo il segnale che voglio far passare e che voglio trasmettere ai giovani -racconta-. Lo stesso pg, quando mi hanno scarcerato, ha detto che sono sul binario della legalità. Certo se fossi stato un criminale a quest’ora mi avrebbero già fatto come minimo un attentato, perché sarei stato un traditore, considerando la cultura criminale”. “Se gli uomini della criminalità riuscissero ad andare contro alla cultura mafiosa dicendo che vogliono cambiare, darebbero un segnale fortissimo ai giovani -sottolinea-. Certo dovrebbero cambiare non solo a parole. La chiave principale sono i giovani. La pena rieducativa deve mandare un messaggio forte”. 

Crespi l’8 settembre sarà al Festival del Cinema di Venezia con il film ‘Le 7 giornate di Bergamo’ di cui è autore e sceneggiatore, mentre la settimana prossima comincerà a girare Spes contra Spem 2. “Da detenuto, Proger Smart Communication di Marco Lombardi mi ha dato la possibilità insieme a Simona Ventura di diventare autore in questo documentario che portiamo a Venezia -aggiunge-. Devo ringraziare anche loro che mi hanno dato la grande forza di continuare a fare il mio lavoro quando ero in carcere ed è una cosa bellissima che Venezia abbia accolto questo progetto”. 

“Sono un uomo fortunato perché tanti sono stati al mio fianco, ho avuto la possibilità di dimostrare la mia innocenza, una possibilità che dovrebbero avere tutti, anche un detenuto deve avere la possibilità di cambiare”, sottolinea. Il ringraziamento più grande Crespi lo rivolge però alla sua famiglia: “Mia moglie è stata magica, lei e la mia famiglia mi hanno dato la forza per combattere questa battaglia -ha detto-. C’è stata tanta gente che mi è stata vicino, intorno a me ho avuto tanto amore e non poteva non finire così. Ogni tanto ci vuole un po’ di luce, erano 10 anni che non riuscivo a vederla. Mi alzavo la mattina con l’angoscia di non poter dare un futuro ai miei figli”. 

“Non ho mai voluto che i miei figli mi vedessero in carcere perché avrebbero pensato che i poliziotti penitenziari fossero i cattivi e chi stava con me in carcere i buoni -conclude-. Ne sarebbe nata una deviazione culturale”. 

(Adnkronos)