Pnrr, cosa vorrebbe dire rinunciare alle risorse del Piano

(Adnkronos) – Le parole in chiaro del premier Giorgia Meloni hanno un peso. “Non prendo in considerazione l’ipotesi di perdere le risorse”. Così come il messaggio che manda, cercando di ridimensionare il dibattito che si è acceso nelle ultime settimane: “Non sono preoccupata dai ritardi sul Pnrr”. Da qui si deve necessariamente ripartire parlando di quella che è la priorità assoluta della politica economica in questa fase, attuare il Piano di ripresa e resilienza.  

Le parole di Meloni non sono però né estemporanee né tantomeno casuali. Servono a rispondere ai dubbi, alle accuse al precedente governo, quello guidato da Mario Draghi, alle ipotesi di un drastico cambio di rotta che arrivano dalle fila della maggioranza che sostiene il suo governo. Serpeggia infatti l’idea che il Pnrr possa non essere più considerata la priorità delle priorità, che uno scarico di responsabilità possa essere utile a liberarsi di un impegno gravoso.  

Al punto che il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, è uscito allo scoperto, mettendo da parte ogni cautela. “Valutare anche la possibilità di rinunciare a parte del Pnrr, se non si dovesse riuscire a investirli in progetti realmente necessari, evitando così sprechi e alleggerendo l’indebitamento degli italiani”. Questo, ha spiegato, “è un ragionamento che in Lega facevamo già da quando Conte ottenne i fondi del Pnrr. Si tratta sempre di soldi che nessuno ci regala, con vincoli molto forti, e non si è obbligati a prenderli…”.  

Il governo, con fonti che allargano il concetto già espresso da Meloni, si affretta a puntualizzare che questa non è la sua posizione. “Le risorse verranno solo rimodulate, ma al momento non c’è alcuna intenzione di rinunciare a parte dei fondi”, messi a disposizione dell’Italia dall’Europa con il Next Generation Eu. 

Si tratta di una puntualizzazione rilevante. L’Italia è il Paese europeo che ha diritto a più fondi, 191,5 mld, e rinunciare a una parte delle risorse avrebbe ripercussioni consistenti. Sia, ovviamente, perché ci sarebbero meno soldi da impiegare per modernizzare il Paese e fare le riforme strutturali che servono sia perché sarebbe una scelta che peserebbe non poco sui rapporti con l’Europa e su qualsiasi altra futura interlocuzione che riguardi la possibilità di condividere il debito tra gli Stati membri. Il Recovery fund, nato per fronteggiare le conseguenze della pandemia Covid, è infatti uno sforzo senza precedenti, che per la prima volta ha costruito una risposta collettiva che aiuta in maniera proporzionale rispetto alle esigenze. Un tema importante per tutti, cruciale per un Paese come l’Italia che deve gestire un debito pubblico particolarmente ingombrante. In ballo, insieme ai soldi, c’è anche la reputazione.  

C’è poi un’altra considerazione da fare. La flessibilità che chiede Meloni rispetto agli obiettivi del Pnrr è ampiamente prevista dalla Commissione Ue. Si tratta, semplicemente, di negoziarla. Come? Garantendo le riforme, la correttezza dei progetti e delle procedure per attuarli. “Su alcune cose bisogna verificare la fattibilità, però è oggetto di un’interlocuzione con la Commissione sulla base di quello che noi riteniamo sia necessario per spendere queste risorse al meglio”, ha spiegato oggi il premier. E lo spazio c’è, purché si rimanga nello spirito del Recovery Fund, ovvero: risorse, tante, in cambio di serietà. 

Rinunciare a una parte delle risorse per tenersi le mani libere vorrebbe dire tornare a uno spirito diverso, quello del ‘facciamo da soli’, che avrebbe due conseguenze immediate: perdere l’occasione di un maxi finanziamento a un tasso vantaggioso, e quindi sprecare un’opportunità che difficilmente potrà ripresentarsi, ed esporsi al rischio di tornare marginali in Europa e, sarebbe il passo successivo, a quello di perdere la fiducia degli investitori e dei mercati finanziari. Non si rinuncerebbe solo alle risorse del Pnrr ma anche all’ombrello che restare nel sistema del Pnrr tiene aperto. (Di Fabio Insenga)  

 

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