(Adnkronos) – Come è arrivato Jannick Sinner a scalare il tennis mondiale? Con il talento, ovviamente, perché senza il talento non si arriva lì. Ma anche con una programmazione attenta e con scelte, spesso di rottura, che descrivono le tappe di una crescita costruita anche fuori dal campo. Il ritiro di Novak Djokovic al Roland Garros, mentre lui approda alle semifinali, è solo l’ultimo tassello di un mosaico fatto di vittorie, tante, e di intelligenza ‘manageriale’.
Il tratto che più di tutti emerge nella storia sportiva di Sinner è una grande determinazione nella ricerca continua del miglioramento. Guardando non solo alle singole prestazioni ma alla proiezione nel futuro della propria capacità di competere. Con alcuni snodi più importanti di altri, in una carriera ancora giovane. Il primo, è stato il cambio di allenatore e la costruzione di un team che ha visto il progressivo innesto di figure funzionali all’obiettivo di esprimere tutto il potenziale a disposizione.
L’altoatesino ha sorpreso l’ambiente del tennis quando ha deciso di separarsi dal coach storico, Riccardo Piatti. E’ apparsa a molti una scelta avventata, quanto meno colpevole di ingratitudine. Poi è andato avanti, affiancando al nuovo tecnico Simone Vagnozzi l’australiano Darren Chill. E non si è fermato, portando nel suo team anche un nuovo preparatore atletico, Giacomo Naldi. Persone scelte perché capaci di aggiungere professionalità, di portare quell’innovazione indispensabile a spostare in avanti gli obiettivi.
Altro passaggio chiave, più recente, la scelta legata alle condizioni fisiche. Sinner si è fermato per un infortunio all’anca, rinunciando a giocare per preservare uno dei suoi asset fondamentali, la condizione fisica. Lo ha fatto senza perdere sul campo, tenendo dritta la barra verso le vittorie. Salute, condizione imprescindibile, e gestione lungimirante.
Sinner ha un talento indiscutibile, ma ha dimostrato anche di avere la ‘fame’ necessaria per non accontentarsi dei risultati che quel talento poteva assicurare con relativa facilità. E intorno al talento, mettendo in discussione le certezze acquisite, ha accettato di battere strade nuove per cercare risultati e, soprattutto, per aprirsi nuovi margini di miglioramento. Il traguardo raggiunto oggi, numero uno del tennis mondiale a 22 anni e primo italiano nella storia, può essere il punto di partenza per un dominio lungo. Per rimanere lì dove è arrivato oggi dovrà continuare a tenere insieme il talento e la capacità di fare le scelte che contano. Come un grandissimo tennista e come un bravo manager.(Di Fabio Insenga)