Svendita, sequestro e bancarotta: ecco le opzioni-panico di Trump per la super cauzione

(Adnkronos) – Svendita, sequestro dei beni e bancarotta: queste le opzioni che Donald Trump, che i media americani descrivono sempre più “nel panico” e furioso, se arriverà alla scadenza di lunedì prossimo senza aver ottenuto la riduzione richiesta dai suoi legali dell’enorme cauzione, pari a 464 milioni di dollari, che deve depositare per poter portare avanti il ricorso contro la sentenza del processo per frode di New York.  

Mentre la scadenza si avvicina inesorabilmente, l’ex presidente si trova nella poco invidiabile posizione di contattare mega finanziatori repubblicani non per fondi per la sua campagna elettorale, ma per chiedere aiuto a mettere insieme l’enorme cifra che nessuna agenzia specializzata in cauzione ha accettato di coprire, secondo quanto affermato dai suoi legali che hanno chiesto alla corte d’appello di ridurla a 100 milioni. La procuratrice di New York, Letitia James, si è opposta a questa ipotesi, chiedendo a giudici di esigere la cauzione piena da Trump che potrebbe divedere la cifra in diverse fideiussioni.  

Insomma, la questione chiave, che potrebbe avere un impatto importante non solo sulle finanze ma anche sulla candidatura di Trump, è che cosa potrà succedere da qui a lunedì e, soprattutto, cosa succederà se la scadenza arriverà senza che Trump abbia ottenuto la riduzione della cauzione o sia riuscito a mettere insieme l’enorme cifra, che, a causa degli interessi, si fa ogni giorno più grande. 

Dopo un processo durato un mese, il giudice Arthur Engoron ha condannato Trump a pagare 350 milioni di dollari allo stato di New York per aver commesso per anni “frode”, manipolando il valore dei suoi beni per avere vantaggi fiscali, con le banche e le assicurazioni. Con gli interessi accumulati prima del giudizio è salita a 464 milioni: nel sistema di New York a questo tipo di multe si accumula un interesse annuo del 9%, vale a dire che la cauzione che Trump dovrà versare aumenta ogni giorno di oltre 111mila dollari.  

Nel momento in cui ha pronunciato la sentenza, Engoron ha sospeso automaticamente per 30 giorni la sua applicazione, periodo che scade appunto lunedì prossimo. I tribunali di New York prevedono che in caso di ricorsi per questo tipo di risarcimenti, l’individuo o la società condannati devono presentare una cauzione a garanzia della cifra dovuta che, con gli interessi del 9%, solitamente è pari al 120% di questa. L’idea è di assicurarsi che i condannati non spendano o spostino i soldi durante il processo di appello, per evitare di pagare il risarcimento in caso di conferma della condanna.  

La cauzione può essere versata in contatti – come ha fatto Trump lo scorso anno per l’appello alla condanna a 5 milioni di risarcimento nel primo processo per diffamazione di E.Jean Carroll – oppure ottenerla da una società specializzata, cosa che l’ex presidente ha fatto per il secondo processo per diffamazione intentato contro di lui dalla giornalista che l’accusa di stupro, in cui è stato condannato a pagare 83 milioni di dollari.  

Trump ha chiesto all’Appellate Division, un corte d’appello di medio livello, di permettergli di depositare una cauzione inferiore o addirittura nessuna cauzione prima del ricorso. I suoi legali hanno sostenuto che questa misura non è necessaria per l’ex presidente che chiaramente possiede proprietà di valore e sarebbe in grado di pagare, se necessario. Inoltre, sottolineano, non sarebbe possibile a Trump vendere nulla di nascosto.  

La Corte a cui Trump si è appellato potrà emettere la sua decisione in ogni momento, anche dopo la scadenza di lunedì. I legali di Trump hanno chiesto, in caso di parere contrario alla loro istanza, che venga concesso al loro cliente il tempo di presentare un altro appello, questa volta alla Corte d’appello di massimo grado a New York, senza dover depositare la cauzione.  

L’ufficio della procuratrice James ha chiesto che non venga accolta la richiesta “straordinaria” di Trump, sostenendo che le dichiarazioni dei suoi avvocati riguardo la difficoltà di ottenere la cauzione sono infondate e mostrano “un rischio sostanziale che l’imputato cercherà di sottrarsi all’applicazione della sentenza, o la renderà difficile”.  

La cauzione d’appello è simile alla più nota cauzione penale, che viene pagata dagli arrestati per ottenere il rilascio in attesa dell’esito del processo. Solitamente viene versata da un ‘bondsman’ che ottiene come garanzia dei beni collaterali che potrà sequestrare se l’imputato si dà alla fuga. Per la cauzione d’appello, individui e società di solito mettono un mix di cash e garanzie come collaterali dell’intera somma che sono stati condannati a pagare, in modo che chi ha vinto risarcimento potrà ottenerlo subito in caso di conferma della condanna in appello senza aspettare altri ricorsi legali. Se invece il ricorso ha successo, tutti i collaterali ritornano indietro tranne la commissione della società specializzata, che nel caso della cauzione di Trump sarebbero 18 milioni. 

Trump afferma che il suo brand da solo vale oltre 10 miliardi e nella dichiarazione finanziaria del 2021 afferma di avere un patrimonio di 4,5 miliardi, il grosso del quale però è composto da beni immobiliari, non da liquidi o azioni. Sempre nella dichiarazione finanziaria del 2021, presentata durante il processo di New York, si parlava circa 293 milioni in contatti, 93 dei quali non liquidi secondo la procura.  

Trump ha costruito il suo successo imprenditoriale, televisivo ed infine politico sull’immagine una grande ricchezza, quindi ora teme le conseguenza che potrà avere su questa il fatto di trovarsi effettivamente non nella capacità di pagare la cauzione. Durante la deposizione al processo, lo scorso aprile, l’ex presidente si è vantato di “avere un sacco di liquidità, credo che superiamo i 400 milioni in contanti, che è tanto per un immobiliarista. Gli immobiliaristi di solito non hanno contatti, hanno beni, non contanti”.  

Gli avvocati di Trump hanno detto di aver contatto 30 diverse compagnie specializzate, la maggioranza delle quali hanno detto non prendono in considerazione una cauzione di questa entità. “Le poche rimaste hanno detto che non accetterebbero proprietà immobiliari come collaterali, solo contanti o equivalenti”, hanno aggiunto. Affermazione contestata dalla procura di New York che sostiene che Trump potrebbe usare le sue proprietà come collaterali, anche senza cauzione, accusando Trump e i suoi legali di fare giochetti solo per ritardare il giudizio.  

Lo stesso ex presidente ha suggerito in un posto nei giorni scorsi che procura e giudice, accusati di essere agli ordini di Joe Biden, vogliono costringerlo “ad un mutuo o a svendere grandi proprietà”, sostenendo che non “si è mai visto” che qualcuno sia costretto a pagare prima dell’esito del ricorso. L’ufficio di James ha replicato che questa è la prassi normale e che “non c’e’ niente di insolito anche per sentenza di miliardi di dollari chiedere l’intera cauzione per l’appello”.  

Un modo in cui Trump potrebbe fermare, almeno temporaneamente, il pagamento sarebbe dichiarare bancarotta, come hanno fatto i suoi alleati Alex Jones e Rudy Giuliani di fronte agli enormi risarcimenti che sono stati condannati a pagare, il giornalista complottista ai genitori delle vittime della strage di Sandy Hook e l’ex sindaco di New York alle due scrutatrici afroamericane della Georgia. Ma Trump si oppone a questa possibilità, riferiscono ai media americani fonti del suo entourage, per le possibili ricadute sulla sua immagine di businessman di successo a pochi mesi dalle elezioni presidenziali. Ma c’è anche una preoccupazione finanziaria, cioè il fatto che la dichiarazione di bancarotta farebbe andare in default una serie di prestiti bancari già contratti da Trump.  

Se arriverà la scadenza di lunedì senza una decisione della corte d’appello in favore di Trump, o senza un suo pagamento della cauzione, allora la procuratrice James sarà libera di chiedere il sequestro dei beni e non dovrà chiedere un nuovo ordine del tribunale per quelli nello stato di New York. Tra questi figurano la Trump Tower e la 40 Wall Street Tower, che si trova vicina agli uffici della procura. “Siamo pronti a garantire che il risarcimento venga pagato ai newyorkesi, ed oggi giorno guardo la 40 Wall Street”, ha detto in un’intervista nelle scorse settimana, mandando un chiaro avvertimento a Trump.  

“Lei può congelare i suoi conti, sequestrare le sue proprietà immobiliari a New York e impedire a Trump in modo significativo l’accesso ai suoi beni newyorkesi”, spiega a Nbcnews l’avvocato Chris Mattei, aggiungendo che la procuratrice potrebbe ordinare anche la vendita forzata degli immobili di Trump.  

Ma anche le proprietà fuori dallo stato di New York, a cominciare dall’attuale residenza del tycoon di Mar a Lago, o il golf club di Bedminster, in New Jersey, dove trascorre l’estate, potrebbero finire nel mirino della procuratrice James, che in questo caso però dovrebbe rivolgersi di nuovo ad un giudice per avere l’autorizzazione.  

(Adnkronos)