(dall’inviata Silvia Mancinelli) – Nel quinto anniversario oggi del terremoto che ha distrutto Amatrice portandosi via 299 persone, i cantieri si alternano alle macerie e a case rimaste ‘congelate’ alle 3.36 di quella notte di morte. Le impalcature e le pareti picchettate, le finestre di villette aperte su muri mai rimessi in piedi. I sassi, la polvere, il campanile e quel che resta del convento. Le strade transennate, l’ospedale che rinasce dalle sue stesse ceneri. Presente al campo sportivo il premier Mario Draghi. Qui, con temperature ben oltre la media, si svolge la cerimonia commemorativa. Come l’anno scorso, quando venne l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, tante sono le sedie riservate ai residenti e rimaste vuote.
Tra il parco Giovanni Minnozzi e il palazzetto dello Sport è tutto un pullulare di poliziotti, carabinieri e vigili del fuoco: con Draghi, anche il commissario straordinario per la ricostruzione Giovanni Legnini. Nelle casette, ancora quelle che dovevano essere provvisorie, sono invece chiusi i residenti, rimasti svegli come ogni anno per la veglia notturna.
“Non abbiamo bisogno di nuovi presepi, ma di piccoli centri attivi a presidio di un territorio ancora straordinario e attrattivo per la autenticità dei suoi luoghi”. Questo il monito del vescovo di Rieti, Domenico Pompili, celebrando ad Amatrice la messa a cinque anni dal terremoto.
“Dopo anni di incertezza e di ritardo”, osserva Pompili, i territori devastati dal sisma “sembrano avviati finalmente alla loro ricostruzione. La ricostruzione è partita ma non basta ricostruire occorre ancora prima costruire un nuovo rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Non limitarsi cioè a riprodurre le forme del passato ma lasciarsi provocare dalla natura. La natura che è creativa e aperta al futuro”.
Mette in chiaro il presule: “Non si tratta di un nostalgico recupero della dimensione bucolica ma di un progetto di investimento economico e di sviluppo demografico rivolto ad una parte dimenticata del nostro Paese che tale era ben prima del 2016. Questi borghi vanno ripensati perché oggi sono luoghi di grandi potenzialità: ciò accade se sapremo stipulare un vero e proprio contratto tra la città e la montagna. C’è un enorme debito che le città hanno maturato verso le aree interne e i loro piccoli insediamenti. E’ arrivato il momento di onorare questo debito con un progetto di reciprocità economica”.
Scandisce ancora Pompili: “E necessario alla transizione ecologica vedere riconosciuto il debito straordinario che avremo verso chi abitando i piccoli centri e i borghi si prenderà cura di una agricoltura di qualità, dei boschi, dei laghi, del mare, delle coste, del paesaggio ancora bellissimo dell’Italia”.