Ue, accordo su nomine: Von der Leyen-Costa-Kallas. Offerta e ruolo dell’Italia

(Adnkronos) – Hanno trovato un accordo i leader dell’Ue che stanno negoziando i posti di vertice del blocco. Accordo che prevede di nominare Ursula von der Leyen (Ppe) per un secondo mandato come presidente della Commissione europea, l’ex primo ministro portoghese António Costa (Pse) sarà il prossimo presidente del Consiglio europeo mentre l premier estone Kaja Kallas (Alde) sarà l’Alta rappresentante dell’Unione europea.  

L’accordo arriva prima del vertice dei leader europei che si terrà domani e venerdì a Bruxelles, per decidere chi guiderà le istituzioni dell’Unione europea per i prossimi cinque anni. Per essere nominata, von der Leyen ha bisogno del sostegno di una maggioranza qualificata rafforzata dei leader dell’Ue, che rappresenti almeno 20 Paesi e il 65% della popolazione dell’Unione europea. 

L’accordo raggiunto dai negoziatori del Ppe, del Pse e di Renew a livello di capi di Stato e di governo viene confermato anche da fonti diplomatiche Ue. In particolare, i negoziatori hanno anche concordato di proseguire, per quanto riguarda il Consiglio europeo, con la prassi seguita finora, cioè quella di riconfermare, a metà legislatura, il presidente in carica, in questo caso il portoghese Antonio Costa. 

 

“Il prossimo vertice dei capi di Stato e di governo sarà un’occasione molto importante per discutere dei nuovi assetti istituzionali dell’Unione europea e l’Italia intende esercitare in questa discussione un ruolo di primo piano, adeguato al suo status di Paese fondatore”, ha affermato il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto, che ieri ha partecipato a Lussemburgo ai lavori del Consiglio Affari generali, l’ultimo della presidenza belga del Consiglio dell’Unione europea.  

“Abbiamo discusso soprattutto della preparazione del prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno – ha spiegato – quello delle nomine non è l’unico tema rilevante dell’agenda del Consiglio europeo. Per noi è molto importante che dal vertice esca un messaggio chiaro su temi per noi cruciali come la competitività dell’economia europea, la difesa, la migrazione e l’Agenda strategica oltre, ovviamente, ai temi di politica estera come l’Ucraina ed il Medio Oriente, sui quali si sono registrati molti progressi grazie al recente vertice del G7, presieduto dal presidente Giorgia Meloni”. 

Nei giorni scorsi sull’argomento si era già espressa la premier. “Chiunque ricoprirà gli incarichi apicali”, in Europa “tutti sanno quale è il ruolo che spetterà all’Italia, fondatrice e terza economia d’Europa, col governo più solido di tutti”, ovvero “un ruolo di massimo rango che intendo rivendicare”, ha affermato Giorgia Meloni. 

E proprio Fitto potrebbe fare le valigie. “Per fare un Fitto ce ne vogliono tre…”, confida un ministro. Ma anche “squadra che vince non si cambia”. E così, a una manciata di ore dal via alle trattative a Bruxelles sui cosiddetti ‘top jobs’ – e a cascata sulle altre nomine che definiranno la Commissione europea che verrà – nei Palazzi romani si fanno i conti su quel che accadrà se e quando il super ministro – il peso di ben 4 deleghe all’attivo – andare in Europa. Perché a pensare che il ‘trasloco’ del ministro salentino sia ormai scritto sono in tanti, dentro e fuori il governo. A vedere di buon occhio un possibile accordo sul suo nome (volto moderato e benvisto in Ue, stimato, raccontano, persino da Emmanuel Macron che per l’esecutivo italiano non ha certo un gran debole) sarebbe la stessa Ursula Von der Leyen, a lavoro per mettere in sicurezza il suo bis al timone della Commissione.  

La partita è tutta ancora da giocare. A Bruxelles, come a Strasburgo, le pedine sono tante ed è difficile andare a dama. Ma cosa accadrà a Roma se Fitto dovesse davvero trovare un suo posto a Bruxelles come super commissario alla coesione e al Recovery plan? A quanto apprende l’Adnkronos da fonti qualificate, l’ipotesi di un rimpasto di governo sarebbe da “escludere a priori”, nonostante i rumors che rimbalzano tra Camera, Senato e Palazzo Chigi parlino addirittura di uno ‘spacchettamento’, con il superministero di Fitto -Affari europei, Pnrr, Coesione e Sud- spaccato in due, diviso in due dicasteri. Così non sarà, assicurano fonti vicine alla premier. Che, di voler vedere la sua squadra arrivare a fine corsa – “squadra che vince non si cambia”, giustappunto – non ha mai fatto mistero.  

Privarsi di uno come Fitto, poi, per lei vorrebbe dire “togliere un pezzo da 90”, perché è noto – ma anche evidente dalle deleghe che gli sono state assegnate, a partire dai 194,4 miliardi del Pnrr – che la presidente del Consiglio si fida di lui come di pochi altri. “Fiducia ben riposta, in questi 18 mesi ha lavorato per tre”, ragiona un ministro in quota Fdi. Eppure sembra che la premier – che proprio per questo vedrebbe bene l’ipotesi di incassare un altro ruolo ‘di peso’ in Commissione, evitando così di dover fare a meno di Fitto – sia decisa a non assegnare, nel caso, il superdicastero ad altri, ma a ‘ripartire’ il pacchetto di deleghe che oggi Fitto gestisce in solitaria. Innanzitutto puntando su Palazzo Chigi, dove la premier può contare su due sottosegretari come Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari. E giocando più avanti la carta di un sottosegretario ad hoc – due i posti venuti meno nel sottogoverno, con le dimissioni di Vittorio Sgarbi e Augusta Montaruli – creandone uno agli Affari europei. 

Deleghe da distribuire dunque, tutt’al più un sottosegretario di nuova nomina. Nessun rimpasto, nessun nuovo ministro a rinforzare le file del governo. Ma Meloni riuscirà a fare a meno di uno dei suoi pupilli senza rimettere mano alla squadra? “Chiaro che sì – si dicono certe le stesse fonti – e non solo perché il Pnrr italiano ormai è ben avviato, siamo entrati nella fase 2, ma soprattutto perché, se tutto andrà come deve a Bruxelles, su Pnrr e coesione in futuro da Roma dovremo interfacciarci con Raffaele, sarà lui il nostro referente, dunque avremo la vita più facile di quanto l’abbia avuta lo stesso Fitto in questo anno e mezzo”. 

Nessun ‘maquillage’, dunque, probabilmente anche per evitare che, toccando una pedina, si generi un effetto domino, accendendo gli appetiti degli alleati e minando l’equilibrio su cui regge il governo. La partita resta comunque tutta da giocare: “E’ presto, vediamo che accade a Bruxelles”, la parola d’ordine. Meno 48 ore. (di Ileana Sciarra) 

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