SAN GIORGIO BIGARELLO – Anche la sezione mantovana del Partito Comunista davanti alla sede dell’Argenta con i lavoratori in sciopero. L’azienda, a causa della riduzione del lavoro, ha trasferito infatti 70 dipendenti a Peschiera Borromeo, in provincia di Milano, chiedendo quindi agli stessi dipendenti, tutti residenti in provincia di Mantova, di andare a lavorare in un sito che dista 170 chilometri. “Ho portato la solidarietà della sezione di Mantova del Partito Comunista ai lavoratori dell’Argenta di S. Giorgio, in sciopero per difendere il posto di lavoro – ha spiegato il segretario provinciale del movimento politico, Monica Perugini -. La loro è una vicenda emblematica: Selecta, la multinazionale gestita da banche svizzere che aveva acquisito il marchio locale, venerdi scorso, ha trasferito i 70 dipendenti a Peschiera Borromeo, a 170 km da Mantova, presso un’officina peraltro di ridotte dimensioni, per cui se, ipoteticamente, tutti accettassero e da novembre timbrassero a Milano, sarebbero in esubero! L’intento è dunque chiaro: licenziare anche se fino al 31.12 non si può licenziare! Impossibile, infatti, per questi lavoratori stare in auto 4 ore al giorno per recarsi al lavoro, spendendo circa 40 € sui 50 lordi che guadagnano giornalmente ma nemmeno trasferirsi in una zona dove l’affitto di un bilocale si aggira sui 700 euro L’officina mantovana tuttavia funziona bene e funge da capofila, assemblando e riparando le macchine che erogano gli alimenti per tutto il nord Italia fino all’Abbruzzo – prosegue il rappresentante politico – . Lo sciopero di questi giorni, dunque, blocca una filiera di centinaia di km e punti ristoro. La volontà di una proprietà, oggi non più identificabile a causa dei continui trasferimenti in capo ad una gestione finanziaria, è chiaramente quella di smantellare, ribaltando la crisi che indubbiamente esiste, su lavoratori di cui si vuole liberare, disponendo anche del patrimonio immobiliare della sede di S. Giorgio, di proprietà. La sede spagnola della stessa Selecta, del resto, ha già licenziato 380 dipendenti, presentando solo a loro il conto della crisi di un modello di sviluppo che, dall’avvento del covid in poi, con prolungate forme di telelavoro e chiusure degli uffici pubblici, vede ristrutturazioni aziendali a danno di chi vive del proprio lavoro e a favore dei grandi gruppi finanziari che dettano linee politiche ed economiche. Lavoratori e cittadinanza si debbono mobilitarsi a favore di questi lavoratori, così come hanno fatto per le altre crisi aziendali locali: molti sono in servizio da 20, 10 anni, altri ancora precari a causa del job act; le istituzioni non possono rimanere sorde e devono schierarsi fattivamente per risolvere la crisi”.
Tuttavia, ribadiamo ancora una volta, come questo sistema non sia riformabile: alle continue criticità esso risponde attaccando i diritti delle classi popolari, primo fra tutti il lavoro e quindi l’indipendenza economica e la dignità delle persone.
Se non si cambierà marcia, non si lotterà in modo ampio e convinto per una società giusta che non lasci indietro nessuno, mai, i potentati finanziari ed economici che dettano regole applicate da amministrazioni ormai ridotte alla stregua di fantocci obbedienti; lavoratori, precari, classi popolari tutte, oggi più numerose che mai, non potranno avere in modo stabile, una qualità della vita degna.