MANTOVA – Una maxioperazione della Guardia di Finanza e della Polizia in diverse province d’Italia che ha portato a una settantina di arresti e sequestri per 35 milioni è in corso da questa mattina.
Ad accertare l’operatività di una cosca mafiosa di matrice stiddara, con quartier generale a Brescia, che ha pesantemente inquinato diversi settori economici attraverso la commercializzazione di crediti d’imposta fittizi per decine di milioni di euro, è stata la Procura della Repubblica di Brescia, Direzione Distrettuale Antimafia. nell’ambito di una lunga e complessa indagine convenzionalmente denominata ‘Leonessa’,
C’è un arresto anche nel mantovano.
Si tratta di un 35enne abitante nell’hinterland a nord della città che è stato tratto in arresto questa mattina dalla Squadra Mobile di Mantova.
Pesantissime le accuse nei suoi confronti: associazione a delinquere di stampo mafioso (416 bis) e associazione finalizzata a spaccio di stupefacenti.
Quella bresciana si affianca all’inchiesta che a Gela ha portato alla luce un’altra cosca stiddara. Due gruppi distinti – hanno spiegato le procure di Caltanissetta e Brescia – con quello attivo in Lombardia che aveva rigettato il tentativo di “abbordaggio” della frangia siciliana e firmato una pax mafiosa perché, dicevano intercettati, “la guerra non porta a niente, mentre la pace porta a qualcosa”.
In carcere capi, gregari e sodali che hanno gestito un fiorente traffico di sostanze stupefacenti, hanno infiltrato l’economia legale attraverso imprese di comodo, facendo estorsioni a tappeto, imponendo in particolare i prodotti delle loro aziende.
La stidda, organizzazione mafiosa che alla fine degli anni Ottanta in Sicilia si era militarmente contrapposta a Cosa Nostra rendendosi anche responsabile di efferati omicidi nei confronti di uomini dello Stato, nella sua versione settentrionale si è dimostrata capace di una vera e propria metamorfosi evolutiva sostituendo ai reati tradizionali nuovi business illeciti.
Pur cambiando business, gli stiddari hanno mantenuto le “antiche” modalità mafiose. Anche se “in giacca e cravatta”, sono rimasti fedeli ai comportamenti tipici della mafia, manifestando capacità di intimidazione nei confronti della concorrenza e di affiliati ritenuti inaffidabili, offrendo, in aggiunta ai crediti fittizi, protezione agli imprenditori che ne hanno fatto richiesta, estromettendo con violenza i partecipi delle società in cui avevano reinvestito i proventi illeciti.
Le investigazioni hanno, inoltre, permesso di ricostruire le attività di reimpiego e riciclaggio, attuate attraverso società operanti, ad esempio, nei settori della consulenza amministrativa, finanziaria e aziendale, della sponsorizzazione di eventi e del marketing sportivo, del noleggio di auto, barche ed aerei, del commercio all’ingrosso, di studi medici specialistici, della fabbricazione di apparecchiature per illuminazione e della gestione di bar. Il tutto a scapito della parte sana dell’imprenditoria costretta a soccombere a causa della concorrenza sleale della criminalità organizzata.
Oltre a quello, mafioso, sono emersi anche altri due filoni investigativi. Il primo riguardante il tradizionale settore delle fatture per operazioni inesistenti, per un ammontare complessivo di 230 milioni di euro. Il secondo riguarda alcuni imprenditori che elargendo mazzette e o favori a pubblici funzionari ottenevano importanti risparmi fiscali.